Martina investita e uccisa a 13 anni, non fu una fatalità: «L'Anas va condannata»

Venerdì 6 Luglio 2018
Martina investita e uccisa a 13 anni, non fu una fatalità: «L'Anas va condannata»
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BELLUNO - «È impossibile escludere che qualora ci fosse stata la passerella per i pedoni Martina non sarebbe morta: l'Anas va condannata». Lo ha detto chiaro e tondo il pm Sandra Rossi, nelle sue conclusioni ieri in Tribunale a Belluno dove si celebrava il processo per la morte della 13enne pallavolista investita e uccisa il 9 marzo del 2013 sulla statale 50, all'altezza di Giamosa-Salce. Per quell'omicidio colposo ha già pagato il conducente del furgone che procedeva comunque entro i limiti di velocità (6 mesi con la condizionale). Ma il giudice nella sua sentenza ha ordinato la trasmissione agli atti in Procura per valutare la responsabilità dei gestori di quella strada. 

 
L'ACCUSA
Dopo una serie di richieste di archiviazione, due inchieste e un'imputazione coatta siamo arrivati al processo che si sta concludendo. Alla sbarra per omicidio colposo i vertici Anas: Eutimio Mucilli, 58enne abruzzese residente a Mestre (capo Compartimento Veneto dal 2008 al 2013) e Ettore de Cesbron de la Grannelais, 44enne napoletanto residente a Padova (dirigente dell'area tecnica dal 2009). Sono imputati per aver omesso di fare effettuare opere di messa in sicurezza di quel tratto di strada, dove per i pedoni era impossibile transitare senza rischiare la vita. «Dovevano violare in ogni caso il codice della strada - ha detto ieri il pm Rossi - o camminare sulla statale o attraversare dove non c'erano le strisce». Al termine della sua requisitoria la Procura ha chiesto la condanna per entrambi a un anno e due mesi ciascuno.

LA PARTE CIVILE
La famiglia della 13enne era parte civile con l'avvocato Chiara Tartari di Treviso. «Quella di Martina era una morte annunciata», ha detto ieri l'avvocato ricordando le diverse segnalazioni sulla pericolosità della strada. Ha spiegato che l'Anas ha offerto per ben due volte la somma richiesta per il risarcimento. «Se la parte civile avesse accettato - ha spiegato l'avvocato - sarebbe uscita dal processo: i genitori hanno voluto rimanere fino alla fine». Insomma non è una questione di soldi, ma di giustizia. La parte civile ha chiesto infatti 150mila euro totali, una somma simbolica per la morte di una figlia. «Alla famiglia non interessa il risarcimento e avrebbe chiesto anche un centesimo, se questo fosse stato possibile», dice l'avvocato. 

LA DIFESA
L'arringa difensiva (avvocato Daniele Ripamonti di Milano ieri sostituito da una collega) è iniziata alle 14 è terminata alle 17. La difesa ha sottolineato come la responsabilità sia del Comune che doveva pensare ai pedoni in quel tratto: «Il Comune ha pagato per la passerella realizzata dopo quella morte, ha delle responsabilità per le risorse economiche che spende, se lo avesse fatto irregolarmente, su opere non di competenza si sarebbe esposto a problemi per danno erariale». La sentenza si conoscerà il 13 settembre.
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