Inghiottito da una valle in Cadore: la figlia lo cerca ogni giorno nel bosco

Martedì 3 Luglio 2018 di Manuela Collodet
Inghiottito da una valle in Cadore: la figlia lo cerca ogni giorno nel bosco
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VITTORIO VENETO - Sono 23 giorni che Giocondo Ghirardo, 80 anni compiuti ieri, è scomparso nel nulla. Inghiottito da una valle alle porte di Ospitale di Cadore, nel Bellunese, dov'era andato a cercare lumache. E sono 23 giorni che sua figlia Monica, prima assieme al Soccorso Alpino, ora da sola, si inerpica lungo quei sentieri alla ricerca disperata del padre. Ogni giorno prende la Seat Ibiza blu del genitore, ritrovata ai piedi della Val Tovanella la sera stessa della sua scomparsa, l'8 giugno, e da Vittorio Veneto va a Devastra, una manciata di case alle porte di Ospitale. Avamposto delle sue ricerche.

 
SCOMPARSO
Quell'8 giugno c'è un tempaccio. Piove a dirotto e soffia un vento fortissimo.Giocondo non si lascia frenare e anzi pensa: tempo perfetto per le lumache. Non dice alla moglie dove va, esce di casa con un semplice: «Vado a lumache». Sale sulla sua Seat Ibiza e si dirige verso Belluno. Vuole andare a Davestra, luogo della sua infanzia, dove il padre portava le mucche a pascolare. Per strada si ferma e si compra degli stivali di gomma. Alle 10.50 un amico lo chiama e il suo telefono aggancia la cella di Ospitale di Cadore. L'uomo è già arrivato nel Bellunese. Parcheggia l'auto nello spiazzo a bordo strada prima della salita che porta dentro la valle. Indossa gli stivali e una mantellina impermeabile, che verrà ritrovata bagnata dentro la sua auto. Da qui le sue tracce si perdono. Alle 15.21 la moglie lo chiama e il suo telefono aggancia la cella di Perarolo. Ma i due non riescono a parlarsi: dopo uno squillo, scatta subito la segreteria telefonica. L'altra telefonata della donna, quella delle 18.30, resterà muta. 

L'ALLARME
Le ricerche scattano alle 23 quando i vigili del fuoco trovano la sua Seat lungo la strada. Il bosco viene passato al setaccio e il suo nome urlato a squarciagola. Ma il buio è troppo fitto e quella valle troppo pericolosa: è attraversata da una forra che si apre all'improvviso. Il sabato mattina i cani molecolari ristringono l'area della ricerca alla zona del canyon. Sommozzatori, speleologi, uomini del soccorso alpino, vigili del fuoco per ore e ore cercano Giocondo. Nulla. La domenica sul greto del Piave vicino al ponte che porta a Devastra viene ritrovato il suo capellino, forse portato a valle dall'acqua, forse volato via col vento. La presenza della mantellina bagnata in auto fa pensare che Giocondo sia tornato in auto a cambiarsi, e indossato il cappellino, abbia deciso di fare un altro giro lasciando stare la valle, dirigendosi verso il paese. Le ricerche si allargano alla zona del Piave, ma non danno alcun esito.

LA SPERANZA
Dopo tre giorni il prefetto dichiara chiuse le ricerche. «Ci hanno abbandonato - mormora Monica - Ma io non posso abbandonare lui, è mio padre». Inizia qui il suo calvario. Aiutata da famigliari, amici ma anche semplici volontari, Michela cerca il padre. Sale lungo i sentieri, setaccia il bosco, si inerpica sui ghiaioni, risale la forra fin dove riesce. Scruta ogni singolo angolo del greto del Piave e dei canneti vicini. Annusa l'aria, scruta il cielo alla ricerca di stormi di corvi che le possano dare un'indicazione, si ferma e ascolta il pensiero del padre. «Cerco di fare i suoi stessi passi, ma lui era un tipo imprevedibile, non seguiva mai i sentieri». Ogni singolo giorno la stessa fatica. Ogni singola notte la stessa frustrazione. «Devono riaprire le ricerche, non possono lasciarci così. Abbiamo bisogno di risposte. Come possiamo continuare a vivere senza sapere cosa gli è successo»? Michela non molla. Non mollerà mai. L'ossessione del padre non le da tregua, la mente non trova riposo. «Se è dentro la forra non lo troveremo mai da soli: mi hanno detto che può essere rimasto incastrato in qualche insenatura. Quella notte pioveva molto, c'era moltissima acqua, poi è calata e il suo corpo può essersi incastrato trascinato dalla corrente. Devono ricontrollare quella zona. Lo devono fare». Ieri Monica insieme alla madre e alla zia è ritornata lungo lo stesso sentiero. In mano una bottiglietta di vetro con una lettera. L'ha gettata nell'acqua. «Volevo fargli gli auguri», sussurra. Per giorni in cuor suo ha sperato che proprio in questo giorno il suo dolore più grande avesse una risposta. «Ma era solo speranza. Domani torneremo a cercare». Monica è allo stremo. Sfinita da un mistero che lei sa potrebbe non svelarsi mai.
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