Le parole del pentito Renato Pugliese decapitano il clan Di Silvio

Mercoledì 13 Giugno 2018 di Marco Cusumano
Le parole del pentito Renato Pugliese decapitano il clan Di Silvio
E' fondamentale il contributo del primo pentito del clan di Latina, Renato Pugliese, figlio di Costantino Di Silvio detto Cha-Cha, nell'indagine che ha portato ai 25 arresti di Alba Pontina. 

Il gip Antonella Minunni non ha alcun dubbio sulla sua attendibilità: «La credibilità del Pugliese è fuori discussione. La linearità, la coerenza interna la esaustività e la costanza dei contenuti emergono con evidenza già a una prima lettura dei verbali». E i verbali sono tanti, le dichiarazioni di Pugliese sono come un fiume in piena che travolge i protagonisti della criminalità di Latina degli ultimi quindici anni. 

La legge sui pentiti del 2001 prevede che i collaboratori dicano tutto ciò che sanno entro 6 mesi. Infatti Renato Pugliese viene sentito numerose volte tra il dicembre 2016 e il giugno 2017: gli investigatori vogliono raccogliere il maggior numero di informazioni per poi utilizzarle in diverse inchieste.

I risultati sono sotto agli occhi di tutti: le parole di Pugliese sono state già usate, in appena quattro mesi, nell'indagine Arpalo e Alba Pontina. Ore e ore di interrogatori sugli intrecci della criminalità locale, con particolare riferimento, nell'inchiesta Arpalo, alla figura apicale di Pasquale Maietta e al mondo del Latina Calcio. La quasi totalità delle dichiarazioni del pentito Renato Pugliese, contenute in quei faldoni, è coperta da omissis per non mettere a rischio lo sviluppo di altre indagini: su 105 pagine, 93 sono totalmente oscurate. 

Sicuramente tra quegli omissis si sono anche riferimenti che portano all'indagine Alba Pontina, all'epoca secretati. Il giudice non ha dubbi: «Le dichiarazioni di Pugliese appaiono assistite da un elevato grado di attendibilità, anche perché traggono origine dal personale coinvolgimento del predetto nei fatti criminosi oggetto delle sue narrazioni e sono supportate da una cospicua serie di riscontri».

Pugliese, dopo aver indicato i nomi sull'album fotografico della polizia giudiziaria, ha descritto in maniera approfondita l'organigramma dell'associazione, della quale lui stesso faceva parte, descrivendo l'operatività, i ruoli dei singoli, i vari episodi criminali, gli sviluppi precedenti e successivi a ogni fatto di rilievo. Ha fornito agli investigatori informazioni determinanti rispetto agli equilibri all'interno del gruppo criminali e ai rapporti con l'esterno. Dalle carte dell'indagine emerge anche un ruolo quasi diplomatico, in alcune circostanze, di Pugliese che si pone con un atteggiamento di mediazione che provoca anche delle critiche da parte dei suoi compagni di clan, i quali lo accusano di diminuire in questo modo il loro peso intimidatorio nei confronti delle vittime.

Le parole di Pugliese servono agli investigatori anche per superare un muro di omertà che, in alcuni casi, viene eretto anche dalle vittime del clan. Come ad esempio nel caso di un avvocato vittima di una estorsione, secondo la denuncia solo tentata, ma che secondo Pugliese (che partecipò personalmente) fu consumata. Un'estorsione dalle modalità tipiche delle cosche della ndrangheta che l'avvocato conosce bene per aver fatto pratica legale a Reggio Calabria. 

Le parole di Pugliese confermano anche la lunga serie di estorsioni ai danni di molti commercianti di Latina. «Pugliese - scrive il giudice - riferiva come i commercianti erano costretti a fare sconti o, talvolta, a non far pagare la merce acquistata dagli zingari. Pupetto Di Silvio, dopo essere uscito dal carcere, era stato presentato da Pugliese ad alcuni commercianti come suo cugino, determinando così la possibilità di beneficiare di sconti, così come Armando Di Silvio andava a comprare le scarpe in un negozio dove gli praticavano automaticamente sconti». Anche Pugliese beneficiava di sconti e regali come lui stesso spiega, «la cosa era automatica, neanche lo chiedevo». 

Emerge il quadro drammatico di una città quasi asservita al clan, sicuramente intimorita da quel cognome, Di Silvio, che diventa sinonimo di sopraffazione, per troppo tempo una sopraffazione rimasta impunita. Ma ora la musica è cambiata.

Marco Cusumano
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Ultimo aggiornamento: 27 Novembre, 12:34 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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