Rossella era la vergine sacrificale. «Cercate nel pozzo della villa»

Domenica 10 Giugno 2018 di Lauredana Marsiglia
Rossella Corazzin
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«È un caso talmente grave che non si può non procedere ad una verifica. Si tratta di accertamenti semplici che potrebbero dare finalmente una risposta». A parlare è Rolando Iorio, l'avvocato dell'ergastolano pluriomicida Angelo Izzo, il mostro del Circeo, riferendosi al pozzo della villa su lago Trasimeno dove la 17enne di San Vito al Tagliamento, sparita il 21 agosto 1975 da Tai di Cadore dov'era in vacanza, sarebbe stata gettata dopo lo stupro di gruppo a cui venne sottoposta nel corso di un rito di sangue templare-massonico. Rossella era la vergine sacrificale. 



IL TAVOLO DEL SACRIFICIO
Ma c'è un altro elemento di quella villa che potrebbe dare risposte: ed è il grande tavolo sul quale si consumò il sacrificio, perpetrato dallo stesso gruppetto di amici romani, benestanti, che misero in atto la mattanza del Circeo in  cui morì la 19enne Rosaria Lopez e sopravvisse miracolosamente, incastrando la banda, Donatella Colasanti. Accadde esattamente un mese dopo il rapimento di Rossella.

Quel mobile potrebbe ancora essere presente nella villa. All'epoca era di proprietà dei Narducci. Quel Francesco Narducci sospettato di essere il mostro di Firenze e morto nell'ottobre 1985 ad mese dall'ultimo massacro. Poi non ce ne furono altri. Non si esclude, come ha riferito lo stesso procuratore di Belluno, Paolo Luca, che possano esserci tracce biologiche della giovane e dei suoi aguzzini, tra cui Izzo.

LE RIVELAZIONI
Il caso della Corazzin è stato portato alla luce, dopo anni di buio, proprio da Izzo, piombate nel 2016 sul tavolo della procura di Belluno, girate poi per competenza a quella di Perugia. Una prima inchiesta sui quei fatti era già stata archiviata; la seconda, che vede sempre indagato Izzo e altri undici sodali, è in fase di archiviazione. Le indagini sono tecnicamente concluse, senza aver rilevato elementi nuovi rispetto al primo troncone.

I TASSELLI MANCANTI
Ma all'appello mancano due passaggi che, secondo l'avvocato Iorio, andrebbero sondati senza indugio: il controllo del pozzo dal quale usciva una puzza tremenda, tanto che venne fatto poi coprire di calce, e il tavolo. Accertamenti che la Procura di Perugia non ha mai disposto ritenendo non credibili le dichiarazioni di Izzo. Già in passato si sarebbe reso protagonista di macroscopiche sparate.

«Sinceramente - spiega Iorio - non lascerei nulla di intentato. Il caso è troppo grave. Spesso si spendono tanti soldi per inchieste che non portano a nulla, non vedo perché non tentare tutto il possibile in questa storia». 

ATTENDIBILITÀ
Sulla presunta inattendibilità del suo assistito, Iorio afferma: «Credo che non abbia assolutamente nulla da guadagnarci. Anzi». Ieri, l'avvocato avrebbe dovuto incontrare Izzo, rinchiuso nel carcere di Velletri, ma l'appuntamento è saltato. Con Izzo vennero condannati, per il massacro del Circeo, anche gli amici Gianni Guido, dal 2009 uomo libero, e Andrea Ghira, processato e condannato in contumacia e mai più preso, probabilmente morto e sepolto all'estero, forse in Marocco.

GLI INTRECCI
Eppure gli elementi che legano gli assassini capitolini al caso Corazzin non mancano, come quel giovane amico romano in vacanza a Cortina a cui Rossella faceva cenno in una lettera ad un'amica. Si sarebbe trattato proprio di Gianni Guido, figlio del numero due della Banca nazionale del lavoro che a Cortina aveva casa. Fu proprio in Cadore che conobbe la «ragazza vergine» da portare al tavolo del sacrificio. Rossella sarebbe stata agganciata con un appuntamento e fatta salire su una Land Rover a bordo della quale, effettivamente, venne vista da un testimone. Venne stordita con dell'etere iniziando così il suo viaggio tra le braccia dei mostri. Prima venne portata a Riccione, nella casa di un sodale, e poi sul lago Trasimeno.

«Andai a trovare questa ragazza - ha raccontato Izzo, riferendosi a Rossella - che stava prioniera alla villa sul lago Trasimeno, la tenevano piena di sonniferi. Provai a parlarci ma se ne stava lì rimbambita».
La giovane rimase prigioniera a Riccione per 25 giorni, poi venne trasferita sul Trasimeno dove venne sottoposta al rito «cavalleresco»: lei stesa su quel gran tavolo del salone, coperta solo da una camicia, e attorno i «templari» guidati dal gran maestro Serafino D.

L. Uno per volta stuprarono la vergine dopo aver bevuto il calice del loro sangue mescolato al vino. «Sicuramente sul quel tavolo - riferisce Izzo - ci saranno ancora le macchie del suo sangue».

Ultimo aggiornamento: 25 Giugno, 16:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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