PADOVA - Dieci di sera, otto persone sono inginocchiate su un cartone. Arrivando da lontano non si percepisce subito che tengono tra le mani dei rosari. Avvicinandosi, poi, si odono le parole cantilenate: «Santa Maria, madre di Dio...». A cinque metri da quell'avamposto di qualche parrocchia che con cocciutaggine si raccoglie quasi ogni giorno in preghiera, un manipolo di volti dai tratti mediorientali: vociare, risate, bottiglie di birra e vino passate di mano in mano, in un attimo il dialogo si trasforma in lite. E attorno a quei due mondi opposti, trolley trascinati in fretta, incroci di valigie e saluti, in uno slalom continuo di pendolari, turisti, studenti. Sullo sfondo auto di polizia e carabinieri, ambulanze. È una sera qualsiasi nella stazione ferroviaria di Padova, bar, edicola, cartoleria, libreria, ristorante e supermercato.
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Giovanissimi, scarpa da ginnastica e pantalone con caviglia a vista, giubbino e zainetto, nei loro racconti propinati al popolo dei binari c'è sempre «un treno da prendere, ma non ho i soldi, mi aiuti?». Chi ci casca, allunga l'euro che servirà a comprare il grammo di droga. Ma il resto della varia umanità che circonda la stazione, e che la trapassa da parte a parte (piazzale principale-uscita Arcella) ha altre facce. La droga, sì, quella gira ancora. I pusher si materializzano di sera. L'ultima novità: un uomo si è trasformato in barbiere. Rasoio intinto nell'acqua della fontana che dà sul cavalcavia, faceva pelo e contropelo ad un altro: «Sono rumeno, sì gli faccio la barba»...
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