L'intervista/Il vescovo Semeraro
«Papa Francesco ascolta i bisogni
Per questo la gente lo ama»

Martedì 8 Ottobre 2013 di Maria Claudia MINERVA
L'intervista/Il vescovo Semeraro «Papa Francesco ascolta i bisogni Per questo la gente lo ama»
LECCE - I primi sei mesi del pontificato di Jorge Mario Bergoglio sono un affresco della Chiesa capace di parlare a credenti e non credenti, una Chiesa accogliente e aperta. Missionariet e vicinanza al popolo di Dio. Questi i dettami del Papa.
«La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento – ha ripetuto in più occasioni il pontefice -. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato».

Monsignor Semeraro, cosa pensa di questa “Chiesa di prossimità” che ha in mente da Papa Francesco?

«Direi, anzitutto, che questa è la missione della Chiesa, è la volontà di Dio per la Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha fatto sua – per usare parole di Paolo VI – la spiritualità del Buon Samaritano. Questo è quanto Papa Francesco ha cominciato da subito a dirci: ricorderei il tema della “cura” e della “prossimità” già nell’Omelia del 19 marzo, inizio ufficiale del suo pontificato, ha sempre ripetuto della infinita forza di perdono che è in Dio. È non solo una dottrina da ripetere, ma uno stile divino che la Chiesa e ogni cristiano deve imitare. Questo è importante soprattutto oggi, quando l’individuo si trova smarrito, disorientato. Lo testimoniano le nuove ansie e le inedite forme depressive, ben note a chiunque sia in ascolto della sofferenza umana. La prima opera pastorale, oggi, sembra dovere essere il prendersi cura dell’uomo».

Per Papa Francesco diventa ordinario qualsiasi atteggiamento che al mondo appare, invece, straordinario.

«A me pare che questo Papa ci stia mostrando l’energia straordinaria che si sprigiona da un “ordinario” vissuto nella semplicità e nella autenticità. Il mondo è rimasto stupito, al principio, per un “buonasera!” È una di quelle espressioni che ti fanno capire che qualcuno si è accorto di te, che prende a cuore la tua serenità, che ti fa un augurio. È molto più che galateo... Oggi ci mancano già queste piccole cose. Gesù ha preso le mosse del suo insegnamento dalle semplici gioie della vita, dalle vicende umane di tutti i giorni: sono le sue parabole, che sono scrigni di Sapienza. Noi tendiamo ad apprezzare ciò che è complesso, anzi complicato. Per questo la semplicità torna a stupirci. Ed è bello».

Il Papa sa dire verità capaci di spiazzare qualsiasi interlocutore. In molti discorsi Bergoglio ha fatto capire come tutti i temi - dal celibato dei preti alla morale sessuale, come pure l’omoaffettività - possano esseri discussi e affrontati liberamente. Un’affermazione impensabile fino a poco tempo fa, non crede?

«Che su questo tema si apra un dialogo è bene, perché così si possono abbattere pregiudizi, diventa possibile trovare punti di incontro. Questo, però, non vuol dire che si possa mettere in discussione qualunque cosa. Appena ieri, dialogando con i giovani di Assisi, il Papa ha parlato dell’importanza di scelte definitive, sia nel matrimonio, sia nella scelta di vita di un sacerdote; ha esortato a non avere paura di fare passi definitivi. Della morale sessuale ha avuto modo di ribadire i principi che la Chiesa trae dal Vangelo, ma nella sua intervista a “La Civiltà Cattolica” ha ricordato che una pastorale missionaria ama concentrarsi sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più. Quanto ai temi morali ha aggiunto che occorre “trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo”. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali».

Riguardo al ruolo delle donne, Papa Francesco ha sostenuto che è necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. «Il genio femminile - ha detto - è necessario nei luoghi in cui si prendono decisioni importanti». Monsignor Semeraro, lei concorda con quest’affermazione?

«Di “genio femminile” parlò già Giovanni Paolo II nella lettera apostolica “Mulieris Dignitatem”, che è del 1988. Prima ancora, cinquant’anni or sono Giovanni XXIII parlò della dignità della donna nella enciclica “Pacem in terris”. Papa Francesco riprende questo insegnamento e lo sottolinea nelle attuali contingenze. Rispondendo a domande di giornalisti sull’aereo che lo riportava dal Brasile dopo la GMG (Giornata Mondiale della Gioventù) ha detto: “Credo non abbiamo ancora fatto una profonda teologia della donna nella Chiesa. Non dev’essere solo lavoratrice, mamma...”. Io ne convengo, e non soltanto per quanto potrebbe riguardare l’assunzione di responsabilità, non solo nella società civile, ma pure nella Chiesa. Ecco, metterei in evidenza il valore del femminile anche in un contesto – che a me pare ideologico – che vuole abolire e ridurre ad un indefinito “culturale” la distinzione e la dualità dell’uomo e della donna: così anche il “genio femminile” non esiste più, è vanificato e muore nell’indistinto».

Il pontificato di Papa Francesco sembra anche annunciare la fine della stagione dello scontro sui “valori non negoziabili”. Crede che ci possa essere una mediazione tra quelle posizioni, di fatto incompatibili, che hanno creato problemi di convivenza civile e istituzionale?

«È paradossale che sui cosiddetti “valori non negoziabili” si tenda a fare uno scontro. È un discorso che mi pare molti strumentale: sia ieri, sia oggi. Ciò che la Chiesa ritiene “non negoziabile” è l’uomo stesso, creato da Dio a sua immagine. I “valori non negoziabili” riguardano la crescita dell’humanum. Oggi, però, è la stessa consistenza dell’uomo ad essere in discussione. Il pensiero individualista e libertario che dagli anni ’70 disegna l’uomo come artefice di se stesso, guidato solo dalle proprie scelte e dai propri desideri, oggi mette in luce tutti i suoi rischi, sicché, conquiste di certo importanti sotto il profilo antropologico, oggi si rivelano gabbie di solitudini e di fragilità. La questione è questa. Torno a citare le parole di Francesco ai giovani di Assisi: “L’umanità ha veramente bisogno di essere salvata! Lo vediamo ogni giorno quando sfogliamo il giornale, o sentiamo le notizie alla televisione; ma lo vediamo anche intorno a noi, nelle persone, nelle situazioni; e lo vediamo in noi stessi! Ognuno di noi ha bisogno di salvezza! Soli non ce la facciamo! Abbiamo bisogno di salvezza! Salvezza da che cosa? Dal male”».

Da quando è stato eletto, Bergoglio ha cambiato tutto, inaugurando una nuova epoca di risanamento e moralizzazione della Curia. Più si intensificano le condanne alla “dittatura” del denaro e ai peccati della Chiesa e più i fedeli aumentano. Molti apprezzano l’aspetto pastorale e catechetico del pontificato di Bergoglio: il papa simpatico, buono, che capisce la gente, che telefona, che paga il conto, che si porta la borsa da solo, che compie gesti semplici, legati alla quotidianità. Ma, secondo alcuni, pauperismo e “francescanesimo a puntate” sembrano più funzionali ad una gigantesca operazione di marketing piuttosto che ad una reale riforma delle strutture della Chiesa. Eminenza, lei che giudizio si è fatto in proposito?

«Sarò breve nella mia risposta: in queste ultime espressioni ravviso una forma troppo poco larvata di mascherare il fastidio, davanti ad una figura “pro-vocante” come Papa Francesco. Preferisco accogliere con apertura d’animo quanto egli ci testimonia».

In questa sua enorme capacità comunicativa Bergoglio appare simile a Giovanni Paolo II, ma a differenza di quest’ultimo l’attuale pontefice ha un’arma in più, perché riesce ad avere un rapporto quasi personale con la folla. Monsignor Semeraro, cosa pensa della nuova forma di evangelizzazione inaugurata da papa Francesco, crede che sia questa la vera scommessa che la Chiesa - che oggi vive le sue maggiori difficoltà nel continente europeo - deve vincere?

«Trovo in questo un impulso a proseguire sulle scelte fatte dalla Chiesa in Italia al Convegno di Verona. Nel 2006: la scelta di entrare negli spazi dove l’uomo vive e cresce, gioisce e soffre, lavora e matura. È la scelta di una pastorale fatta di relazioni, di vicinanza e di incontro che mi trova pienamente concorde».


Ultimo aggiornamento: 21 Ottobre, 19:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA