TRIESTE - Propaganda all'Isis attraverso i social newtwork: 5 macedoni che risiedevano a Ronchi dei Legionari, in provincia di Gorizia, sono stati espulsi per motivi di sicurezza dal territorio nazionale per decisione del ministro dell'Interno Angelino Alfano a seguito di lunghe e complesse indagini avviate due anni fa dalla Digos di Trieste e dalla Procura giuliana su un account Facebook, dove venivano postati innumerevoli video e documenti a sostegno dell'autoproclamato Stato Islamico.
Il reato contestato a due dei 5 stranieri - dei quali non è stata resa nota l'identità - è «apologia in relazione a delitti di terrorismo attraverso strumenti informatici». Lo si apprende dal procuratore di Trieste, Carlo Mastelloni. L'inchiesta è scattata nell'agosto del 2014: è stata coordinata dalla Procura distrettuale di Trieste e condotta dalla Digos della questura giuliana in collaborazione con quella goriziana. Durante le indagini sono stati monitorati vari siti internet e i social network dove gli investigatori hanno trovato alcuni profili Facebook riconducibili a cittadini macedoni ora allontanati dal territorio nazionale che venivano utilizzati per diffondere materiale di propaganda dell'Isis e di incitamento alla jihad e al martirio.
Gli stranieri monitorati avevano esternato la loro esultanza in occasione dei diversi, recenti attacchi terroristici compiuti in Europa e avevano sempre giustificato le azioni dei miliziani dello Stato Islamico, anche le più crudeli, come le torture e le esecuzioni dei prigionieri. «Gli approfondimenti eseguiti sul profilo social – aggiunge il ministro – hanno permesso di individuarne il titolare (un 28enne macedone) e di estendere le attività investigative ad altri soggetti che utilizzavano le proprie pagine Facebook per acquisire e diffondere messaggi di propaganda jihadista, in particolare, due fratelli macedoni di 31 e 28 anni, cognati del titolare del profilo, insieme ai quali, tra l’altro, veniva gestita una società che operava nel settore dell’edilizia». «Le attività investigative – dice ancora il ministro – hanno documentato l’odio ideologico-religioso che accomunava questi stranieri, nonché il padre dei due fratelli, di 52 anni, e la moglie trentaduenne di uno di loro, tutti fanatici seguaci dell’autoproclamato Califfato, che più volte avevano parlato con disprezzo dell’imam e della comunità islamica locale perché ritenuti “moderati” e aperti agli influssi occidentali».
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