Scajola: «Al Viminale sapevano
dei rischi che correva Marco Biagi»

Sabato 24 Maggio 2014 di Cristiana Mangani
Claudio Scajola
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Voglio dirlo forte: non era ipotizzabile un mio interessamento, mai richiesto da alcuno su una vicenda di cui non ero mai stato informato. Parla così Claudio Scajola nei giorni di fuoco che seguono l’omicidio di Marco Biagi. In Senato, riferendo gli esiti dell’indagine sulla mancata scorta, nega qualsiasi conoscenza sul rischio attentati che il professore stava correndo.



Già all’epoca gli avevano creduto in pochi. E ora, a distanza di dodici anni, le sue parole vengono smentite dalle dichiarazioni di Luciano Zocchi, l’uomo che era suo capo della segretaria, e che per tutto questo tempo ha custodito gelosamente i due appunti nei quali segnalava le chiamate di Enrica Giorgetti, moglie dell’ex ministro Maurizio Sacconi, e del direttore generale di Confindustria Stefano Parisi, che chiedevano con grande insistenza di ridare la scorta al professore. Lettere che sono state consegnate al ministro, ma inspiegabilmente ignorate.



LA CATENA DI COMANDO

I fatti recenti, poi, rendono la vicenda ancora più grave, perché confermano che a conoscere la situazione fossero in molti al Viminale, l’intera catena di comando. Tanto che già i pm bolognesi che indagavano all’epoca, erano arrivati alla conclusione che «le colpe dell’apparato erano state esorbitanti. Moltissimi gli errori a livello centrale». Nonostante questo, il caso è stato archiviato per mancanza di prove concrete. Ma è stato anche riaperto dopo le recenti rivelazioni di Zocchi e il ritrovamento delle lettere. La procura di Bologna sta risentendo tutte le persone coinvolte in quella storia.



E dopo lo stesso Zocchi e Giorgetti, qualche giorno fa è toccato all’attuale prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, all’epoca capo di gabinetto di Scajola, e all’ex vice capo della polizia, Giuseppe Procaccini, dimessosi dal gabinetto del ministro Alfano per il caso Shalabayeva. Davanti all’evidenza delle carte recuperate, i due prefetti hanno confermato: «Il capo della segreteria ci aveva telefonato per parlarci di Biagi e della necessità di un intervento rapido».

Procaccini spiega anche una cosa che conferma il racconto di Zocchi, e cioè che gli disse di andare da Pecoraro e che aveva fatto bene a scrivere l’appunto. E Pecoraro aggiunge: «Io gli ho spiegato che le indagini sui tabulati del professore non avevano dato risultati sulle eventuali minacce».



«Quello si fa le telefonate da solo», aveva considerato. Ha comunque avvertito l’Ucigos, che era comandata da Carlo De Stefano. Pecoraro ha saputo dell’omicidio quando si trovava a Napoli. «Mi ha chiamato Zocchi - ricorda - era stato avvertito dalla Giorgetti. È andata proprio così».



LE SCORTE

Se tutti sapevano, quindi, dove si è verificato l’intoppo? Il Comitato provinciale per l’ordine pubblico e la sicurezza di Milano, Bologna e Modena avevano deciso di togliere la tutela a Biagi rispettivamente il 19 e il 21 settembre, e il 3 ottobre. Nello stesso periodo l’avevano concessa a tre professori di Diritto e Sociologia. Uno di loro, secondo le ricostruzioni dell’epoca, era il professor Giorgio Ghezzi che aveva ottenuto e perso la scorta insieme con Biagi. Gli era stata tolta nell’autunno del 2011. Poi i giornali hanno raccontato che il presidente della Commissione di garanzia Gino Giugni si era lamentato con Scajola, tanto che Ghezzi ha riavuto la sua protezione.



Nei prossimi giorni, i pm di Bologna risentiranno l’ex ministro, questa volta in veste di indagato. A Roma, invece, dove esiste un fascicolo con una parte di materiale sequestrato a Imperia, interrogheranno per la seconda volta Luciano Zocchi. «Quando ho sentito dire a Scajola - ricorda l’ex capo della segreteria - di non essere mai stato informato del pericolo che correva Biagi, mi si è raggelato il sangue e lì ho capito: “qui è successo qualcosa”. Forse non è stato gradito da qualcuno che io abbia fatto quelle lettere e le abbia fatte vedere a così tante persone».
Ultimo aggiornamento: 21:53