Il tanga anti-stupro di Marica virale sul web E conquista pure Al Jazeera

Sabato 17 Novembre 2018 di Elena Filini
Marica Zottino
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Marica Zottino ha un solo modo per esprimere veramente le sue emozioni: prendere la matita in mano. L’altra sera, stanca, sul divano, davanti ad un foglio bianco ha visto esplodere tutta la sua rabbia. Non avrebbe mai immaginato che quei 5' di pura liberazione diventati una bandiera con un perizoma in pizzo, facessero, in una notte, il giro del mondo. Trasformandosi nel simbolo di una protesta planetaria che è arrivata persino su Al Jazeera. «Non sono certo una pasionaria, ma non posso credere che in una prova di stupro un avvocato possa davvero permettersi di affermare che indossare un tanga significhi essere pronti ad un rapporto consensuale. Avevo bisogno di dare una forma alla mia indignazione» spiega la 37enne trevigiana, di professione illustratrice ornamentale, specializzata in libri per ragazzi. «Non sono un’attivista, non mi sono mai occupata di sociale, la mia è una grafica ornamentale, va bene per le fiabe meno per la sintesi necessaria a certi messaggi» ammette.
Ma dopo la sentenza del tribunale irlandese di Cork, che ha prosciolto dall’accusa di stupro un uomo di 27 anni usando come prova a discolpa la biancheria intima indossata dalla vittima 17enne, ha sentito la necessità di dare forma alla sua rabbia. E creato la sua personalissima eccezione alla regola. Si è sentita come Ruth Coppinger, la deputata socialista che ha portato quel tanga di pizzo in Parlamento coniando l’hastag #thisisnotConsent (questo non è dare il consenso). E come le donne irlandesi che hanno fatto esplodere la protesta nelle strade. E come tutte le altre che, in ogni parte del mondo, hanno aperto i propri cassetti estraendone della biancheria intima, postata per amplificare lo sdegno.
IL DISAGIO
Marica però ha fatto, forse inconsapevolmente, qualcosa in più. Ha dato corpo al disagio di milioni di donne. E la sua immagine sta diventando un simbolo. «È successo in maniera spontanea - ribadisce - ho approfondito la vicenda e ad istinto ho creato in pochi minuti quell’immagine, senza alcuno scopo commerciale». Poi è andata a letto. E ieri mattina ha scoperto che quella vignetta, nata in un sussulto di indignazione, è diventata la nuova icona di #thisisnotConsent.
«Non ho mai subito personalmente avances pesanti ma alcune mie amiche sì - afferma - per molto tempo durante l’adolescenza ho lavorato nei locali di Jesolo constatando di persona come un costume da bagno, o un abbigliamento da mare autorizzino ancora oggi l’uomo a spingersi oltre».
Da qui la forza dell’immagine. «Il suo significato? Un no è un no». Indossare un indumento sexy insomma non significa aver dato il consenso a un rapporto sessuale, tantomeno a una violenza o a uno stupro. Vale per le mutande, le minigonne, i tacchi alti e qualsiasi altra cosa.
I SOCIAL
L’immagine, postata su Instagram e poi condivisa su Twitter e Facebook, ha iniziato a rimbalzare in contesti sempre più ampi. «Non solo siti femminili, ma uomini, istituzioni, in maniera assolutamente trasversale. Questo conferma che un messaggio quando interpreta un sentire condiviso va indipendentemente da calcoli e algoritmi».  Ad un certo punto arriva un post da Washington. È di una corrispondente di Al Jazeera che chiede a Marica di poter utilizzare la vignetta per un video realizzato sul caso di Cork. «Ho acconsentito perché il contesto è quello dell’informazione - conclude - non lascerei mai che venisse utilizzata per fini commerciali. L’impatto della vignetta sta proprio nella sua spontaneità e nell’assenza di qualsiasi interesse». La forza vera del suo messaggio è tutta qui: nell’indignazione di una donna normale. «Non importa il trucco, l’abito, la biancheria. Un no è un no».
Ultimo aggiornamento: 18 Novembre, 15:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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