Strasburgo, nel 2016 l'attentato al mercato di Natale di Berlino

Martedì 11 Dicembre 2018
Nel 2016 l'attentato al mercato di Natale di Berlino
Era il 19 dicembre 2016, un lunedì, quando, intorno alle 20, nel mercatino di Natale del quartiere berlinese a Breitscheidplatz, un camion con targa polacca seminò la morte: 12 le vittime e 56 i feriti. Tra i morti anche l'italiana Fabrizia Di Lorenzo, 31enne di Sulmona (L'Aquila). Fabrizia faceva parte della cosiddetta 'generazione Erasmus', emigrata all'estero per cercare un lavoro, dopo aver conseguito una laurea triennale alla Sapienza di Roma in Mediazione linguistico-culturale, conseguito la magistrale all'Alma Mater di Bologna in Relazioni internazionali e diplomatiche e un master alla Cattolica di Milano in tedesco per la comunicazione economica.

Poi la decisione di 'emigrarè in mancanza di lavoro nella sua terra di origine, e l'impiego in un'azienda di trasporti di Berlino dove ha lavorato per tre anni, prima di quella maledetta sera del 19 dicembre. Quella sera, il veicolo coinvolto, un autoarticolato Scania R 450 di colore nero, con targa polacca e di proprietà della società di autotrasporto Usługi Transportowe Ariel Żurawski di Sobiemyśl, stava trasportando sbarre metalliche ritirate presso lo stabilimento torinese della ThyssenKrupp e dirette a Berlino.

Il titolare della società di trasporto, Ariel Żurawski, ha confermato di essere rimasto in contatto fino alle 15-16 con suo cugino, Robert Łukasz Urban, che si trovava alla guida del mezzo. L'ultima immagine di Urban ancora in vita è stata ripresa alle 14 in un negozio di kebab vicino al magazzino ThyssenKrupp di Berlino. In base alle analisi del GPS di bordo e alle irregolarità riscontrate sull'accensione e spegnimento del motore, il camion sarebbe stato dirottato dopo le 16. Sono esattamente le 20:02 quando il camion piomba nel mercatino di Natale, travolgendo bancarelle e clienti per circa 50 metri, per poi deviare e fermarsi su Budapester Straße, nei pressi della Chiesa della memoria. Prima di entrare nel mercatino, il camion era già transitato per Breitscheidplatz una volta.

L'epilogo, in quello che si può definire un colpo di scena nelle indagini, si consuma proprio in Italia. Intorno alle 3 del mattino del 23 dicembre, Amri, appena giunto in Italia con un treno da Chambery (Francia) - via Torino - viene intercettato alla stazione di Sesto San Giovanni da una pattuglia della Polizia di Stato a seguito di un controllo di routine. Non appena i poliziotti gli chiedono i documenti, il tunisino estrae dallo zaino una pistola calibro 22 (in seguito ritenuta la stessa arma usata a Berlino), sparando alla spalla di uno degli agenti. L'altro poliziotto insegue il giovane e spara due colpi nella sua direzione: uno solo lo raggiunge, al costato. Nonostante l'intervento dei sanitari, il giovane muore steso sull'asfalto.

Dalle impronte digitali e dai tratti somatici, viene identificato senza ombra di dubbio in Anis Amri. Solo dopo si scopre che Amri poco prima dell'una di notte era passato davanti alla stazione Centrale di Milano, per recarsi in piazza Argentina; da lì, dopo aver chiesto informazioni a un giovane salvadoregno su come raggiungere Roma e Napoli, aveva preso l'autobus notturno sostitutivo della Linea M1 della metropolitana milanese, diretto a Sesto San Giovanni. Si stima che nel suo percorso totale Amri abbia usato almeno quattordici nomi falsi e tre diverse nazionalità.

Amri apparteneva alla rete salafita chiamata «La vera religione» cresciuta intorno a Abu Walaa, un noto reclutatore dell'Isis in Germania recentemente arrestato.
In Tunisia, era stato già condannato in contumacia a cinque anni di carcere per furto aggravato con violenza ed era stato arrestato più volte per uso e possesso di droga. Secondo la sua famiglia, Amri era un alcolizzato, tossicodipendente e non religioso, ma si era radicalizzato nelle carceri italiane.
Ultimo aggiornamento: 22:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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