L'Aja, criminale di guerra croato muore bevendo veleno durante la lettura della sentenza in tribunale

Mercoledì 29 Novembre 2017
L'Aja, criminale di guerra croato muore bevendo veleno durante la lettura della sentenza in tribunale
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Il suicidio in diretta tv del generale croato-bosniaco della Herzeg-Bosnia, Slobodan Praljak, chiude il cerchio della tragedia che ha sconvolto l'ex Jugoslavia per dieci anni.

Regista teatrale diventato militare per patriottismo, Praljak deve aver studiato con precisione il copione della propria morte. Lo scopo: denunciare di fronte alla Storia, con un gesto volutamente spettacolare, non solo l'ingiustizia della Corte penale internazionale sulla ex Jugoslavia ma la legittimità della guerra di secessione dalla Jugoslavia e la creazione di una entità statuale croata oltre i confini della Croazia, nella confinante Bosnia Erzegovina.
 

Sapeva, Praljak, di interpretare i sentimenti del popolo croato, di non essere soltanto uno dei militari e politici croati della Herzeg-Bosnia, l'Erzegovina a maggioranza croata, chiamati a rispondere della bonifica etnica e di deportazioni, omicidi, torture, saccheggi, razzie degli anni Novanta. La sequenza del suicidio viene ripresa dalle telecamere del Tribunale e poi rimandate sul web.

SENTENZA INTERROTTA
L'ex generale, 72 anni, fisico possente, barba bianca, non lascia finire la lettura della sentenza che conferma la sua condanna a 20 anni (per due terzi scontata) per crimini di guerra e contro l'umanità e scandisce, accavallando la voce a quella dei giudici: «Respingo inorridito la sentenza. Praljak non è un criminale. Prendo il veleno». E con un tremore dovuto alla consapevolezza di morire o forse addirittura a una scelta «drammaturgica», porta alla bocca una piccola boccetta di liquido, rovescia indietro la testa e lo versa in gola. I giudici lì per lì non capiscono. La giornalista in diretta alla Tv croata capisce e lancia un grido. Il rito non si ferma, lo interrompe il richiamo in francese dell'avvocato del generale che dice: «Il mio cliente ci dice che ha preso del veleno». La morte poche ore dopo.

Ma non era uno qualunque, Praljak. Era colui che diede l'ordine di distruggere il Ponte di Mostar, il 3 novembre 1993, lo Stari Most, il Ponte Vecchio che dal 1557 teneva unite le due metà della città sul fiume Neretva, 456 blocchi di pietra bianca disegnati dall'architetto ottomano Hajrudin Mimar. Quel ponte dalla linea perfetta, ricostruito nel 2004 con donazioni soprattutto italiane, era patrimonio dell'umanità. Un capolavoro. Un atto di guerra «sproporzionato», per l'accusa, la sua distruzione a colpi di mortaio. Ma i giudici dell'Aja avevano poi concluso che il bersaglio era legittimo, in quanto linea di rifornimento del nemico.

MILITARE ACQUISITO
Praljak non era nato militare. Intellettuale con tre lauree (in ingegneria, filosofia e sociologia), diplomato all'Accademia d'Arte drammatica di Zagabria, poi regista nei Teatri della capitale croata e di documentari e film televisivi, nel 1991, si era arruolato per difendere il suo Paese dall'esercito serbo che all'epoca aveva una superiorità schiacciante. I gardisti croati si dovevano arrangiare blindando i pullman e combattendo coi mitra contro i carri armati e i Mig. Praljak entrò nel nascente esercito croato formando una unità composta da artisti e intellettuali di Zagabria. A riprova del coinvolgimento bellico degli intellettuali, molti dei quali riconosciuti poi criminali di guerra a partire dal serbo-bosniaco Radovan Karadzic, o fautori e fomentatori di uno sciovinismo culturale alle origini del conflitto, vedi l'Accademia serba delle Scienze o scrittori come Milorad Pavic a Belgrado. Praljak si insediò a Sunja, uno dei quartier generali della resistenza croata. Poi da generale, membro e capo di Stato maggiore del Consiglio di Difesa croato (Hvo), ebbe responsabilità di comando nella Herzeg-Bosnia e nella riconquista delle enclave croate, combattendo contro i serbi, poi contro i musulmani di Erzegovina. Dopo la guerra, era diventato in imprenditore, abbandonando la società al figliastro dopo l'incriminazione e l'arresto. Ieri l'ultimo atto di orgoglio suicida. Contro il marchio d'infamia.

Ultimo aggiornamento: 30 Novembre, 18:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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