L’emergenza/ I migranti economici e i costi da dividere

Venerdì 11 Settembre 2015 di Oscar Giannino
Una buona notizia è venuta ieri dalla prima sessione dell’Ecofin. La presidenza lussemburghese ha deciso di aprire la discussione sulla situazione straordinaria creata nei confronti del Patto di stabilità dall’ondata biblica di migranti in corso. Come aveva preannunciato Il Messaggero tre giorni fa, alle prese con la svolta sull’apertura delle porte ai profughi, l’Europa inizia anche a considerare le conseguenze che ciò comporta inevitabilmente sulle finanze pubbliche dei paesi membri. La prima discussione avverrà oggi stesso, nel prosieguo dell’Ecofin e all’Eurogruppo, ma sarà la Commissione europea a verificare l’impatto economico della crisi sui conti pubblici nazionali.



Dopo di che, si deciderà se le spese necessarie per l'accoglienza dei profughi possano non essere calcolate in relazione agli obiettivi di deficit e debito. È non solo giusto moralmente, ma del tutto coerente alle regole già sono vigenti. Non si tratta d’inventarsi nulla. Sia a livello europeo, sia in Italia. Sta scritto esplicitamente nelle regole del “Patto di Stabilità e Crescita”, il fiscal compact approvato da 25 paesi europei e ratificato dal parlamento italiano nel luglio 2012, che prima di aprire formalmente una procedura di contestazione al deficit pubblico eccessivo di un membro europeo rispetto all’obiettivo di riduzione contrattato, si debbano esaminare con attenzione specifica le spese relative a calamità naturali, recessione e instabilità finanziarie.



È la stessa clausola testualmente recepita in Italia dalla legge costituzionale 1 del 2012, attuativa e interpretativa della nuova formula dell’equilibrio di bilancio approvata dal parlamento italiano sempre nel 2012, modificando l’articolo 81 della nostra Costituzione. Come si può anche solo immaginare, che le spese fuori deficit già previste per calamità naturali non si estendano a una vera e propria catastrofe umanitaria, come quella in corso di centinaia e centinaia di migliaia di persone già giunte o in rotta verso l’Europa?



Solo a un matto, potrebbero venire dei dubbi. Tanto è autoevidente, che infatti la Banca Europea per gli Investimenti già si è schierata, e ieri il suo presidente ha dichiarato che, come finanzia investimenti a seguito di disastri naturali, si considera già pronta a farlo per affrontare la sfida umanitaria che si abbatte sui paesi meno attrezzati, per affrontare l’affluenza di un così elevato numero di migranti. Aggiungiamo un altro precedente. Dal 2002, a seguito delle alluvioni che si abbatterono allora su Germania e Centro Europa, è nato il Fsue, Fondo di solidarietà dell’Unione Europea.



Il Fondo interviene con finanziamenti supplettivi alle spese nazionali in presenza di calamità “gravi”, che abbiano provocato danni nell’ordine dei 3 miliardi di euro. Da allora, il Fondo si è attivato per 63 catastrofi in 23 paesi membri della Ue. Che Europa sarebbe mai, quella che ha già uno strumento ad hoc per le inondazioni naturali, e che rifiutasse di darsi nuovi strumenti anche finanziari per affrontare le inondazioni umane? Fatte queste premesse, veniamo all’Italia. L’appello da rivolgere al governo italiano va in tre distinte direzioni.



La prima è che ci si batta perché al tavolo europeo, ora che la svolta tedesca ha impresso un corso nuovo sull’accoglienza ai profughi che hanno diritto di asilo, il confronto si estenda anche al tema dei migranti economici. L’Economist di questa settimana ha confermato le cifre che per primi vi abbiamo dato su queste colonne. Il flusso che interessa l’Italia riguarda a gran maggioranza esseri umani in fuga da paesi caratterizzati da miseria e violenza, ma che non prevedono la concessione del diritto d’asilo. Ora se accogliere i profughi asilanti è una questione di civiltà, accogliere i migranti economici è invece una questione appunto anche e soprattutto economico-finanziaria. Mentre i clandestini sono una questione di ordine pubblico e sovranità.



Per un paese che ha certo bisogno – demograficamente - di migranti economici come l’Italia, ma che al contempo deve recuperare molti punti di Pil e reddito persi nella crisi, l’accoglienza e l’integrazione hanno costi elevati. Ai fini di garantire un equilibrato sviluppo del nostro Paese, e con conseguenze evidenti di rafforzamento della crescita e stabilità europea, anche le spese per i migranti economici dovrebbero essere comprese in un vaglio comune, ai fini del rispetto del Patto di Stabilità. La seconda questione per il governo riguarda proprio la spesa per i migranti.



L’8 settembre, su queste colonne, abbiamo mostrato come motivi di prudenza volti a evitare polemiche infuocate abbiano sin qui indotto i governi italiani a non accorpare in modo perspicuo tutte le spese sostenute per il salvataggio e l’accoglienza dei migranti. Il bilancio del sistema Sprar al Viminale, per i richiedenti asilo e rifugiati, è relativo solo a meno di un terzo di coloro che sono accolti oggi. Ad esso si aggiungono tutte le convenzioni che tramite gli enti locali si realizzano con i gestori delle strutture di accoglienza straordinarie, i diversi fondi di esercizio per le spese relativa ai mezzi della Marina, Guardia Costiera, Aeronautica, Esercito, Protezione Civile, Vigili del Fuoco, forze dell’ordine, quanto viene attinto dal bilancio della Farnesina, e infine le centinaia di milioni di spesa a questo fine dei Comuni, non pareggiata da trasferimenti nazionali né europei.



Sulla base di stime di cui abbiamo spiegato la metodologia, siamo giunti per il 2015 a una cifra complessiva che arriva a toccare proprio l’ordine di grandezza in presenza del quale interviene automaticamente il Fondo Europeo destinato alle calamità: 3 miliardi.
E’ dunque il momento di fare chiarezza nei conti, e di portarli sul tavolo europeo. Se l’Italia non trova sostegno in questo, diventerà ancora maggiore la pressione ai confini del paesi centroeuropei riottosi alla svolta tedesca. La terza considerazione è ancora più ampia. Spendere per l’accoglimento e l’integrazione dei migranti dovrebbe essere finanziariamente considerato non spesa corrente, ma a tutti gli effetti una spesa d’investimento sul capitale umano. Se la tragedia biblica in corso spingerà l’Europa a capire che questi investimenti dovrebbero essere generalmente tenuti fuori dal Patto di Stabilità, a condizione naturalmente di essere seriamente monitorati e di evitare cioè spesa corrente mascherata, a maggior ragione l’ondata di migranti sarebbe per l’Europa una benedizione e non un guaio.
Ultimo aggiornamento: 23:56

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