Usa, stangata fino a 3 miliardi sui prodotti made in Italy

Venerdì 31 Marzo 2017 di Roberta Amoruso
Usa, stangata fino a 3 miliardi sui prodotti made in Italy
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 Altro che fulmine al cielo sereno. Altro che editto Trump. Questa vota è colpa degli allevatori Usa. E più precisamente di una vecchia storia di barriere Ue alle carni “agli ormoni” provenienti da Oltreoceano. Una storia che il 28 dicembre scorso, quasi sotto silenzio, ha però aperto un nuovo capitolo.

Questa volta dunque non c’entrano le esternazioni di Donald Trump. O meglio, da tempo il presidente Usa minaccia di intervenire sul commercio e da tempo sventola la bandiera dei dazi. Ma questa volta Mr. Trump si sta comportando solo da megafono. Vero è che le indiscrezioni sui dazi al 100% in arrivo contro i prodotti Ue hanno scatenato i timori di una guerra e fatto traballare in Borsa i titoli del made in Europe. In realtà si vedrà se questo è l’inizio una guerra oppure se, come è più probabile, si stanno soltanto prendendo le misure per rinegoziare gli accordi tra Europa e Usa. Intanto è bene sapere che già da mesi, e quindi già con l’amministrazione Obama, i produttori di carni Usa esercitavano forti pressioni per avviare la guerra contro l’Europa che non importava abbastanza manzo dagli Stati Uniti.

Così già il 28 dicembre scorso un documento dell’USTR, cioè il Dipartimento per il Commercio americano, apriva ufficialmente il dossier delle richieste degli allevatori e avviava di fatto un processo di revisione del Memorandum Usa-Ue, aprendo a pubbliche consultazioni e audizioni con gli operatori economici interessati.
Nello stesso documento sono puntualmente indicati quasi 80 prodotti “monitorati” sui quali potenzialmente applicare dei dazi secondo i paletti del Wto. Prodotti di nicchia come carne, cioccolato, mostarda, paprika, formaggi Roquefort, ma anche acque minerali (come quelle del gruppo Nestlé indicate dal Wall Street Journal), moto (Vespa compresa) e tosatrici. Una lista che potrebbe allungarsi, a seconda dei risultati delle consultazioni, c’è scritto. Più in là sono indicati altri 10 generi alimentari sui quali sono già in essere dazi da parte degli Usa. Questo non vuol dire che i dazi su questi prodotti sono pronti a scattare.

Ma vuol dire senz’altro che gli americani vogliono riaprire il tavolo del “trade” Usa-Ue. E anche ammesso che oggi gli Usa mettano per iscritto comunicandola a Bruxelles l’intenzione di azzerare l’intesa sulla carne con l’Ue, dovrebbero passare comunque sei mesi, secondo la procedura.
È stato il blocco delle importazioni da parte europea delle carni bovine agli ormoni provenienti da Stati Uniti e Canada a dare il via, alla fine degli anni ‘80, alla disputa commerciale più lunga e controversa degli ultimi decenni. Il lungo contenzioso legale presso l’Organizzazione mondiale per il commercio si concluse con il riconoscimento agli Usa di dazi “compensativi” per 116,8 milioni di dollari l’anno sulle eccellenze europee. Solo nel 2009 fu possibile raggiungere un’intesa tra le due sponde dell’Atlantico: in cambio della possibilità di esportare verso l’Ue, ogni anno, 48 mila tonnellate di carni bovine di alta qualità (senza ormoni), gli Usa eliminarono i loro dazi. A quanto pare, però, delle 48 mila tonnellate riconosciute agli Stati Uniti, solo metà sarebbero arrivate in Europa duty free, cioè senza dazi. Di qui il pressing degli allevatori che puntano a esportare ben di più. Da parte sua, poi, l’Europa con questo accordo ha rinunciato, pare, a oltre 150 milioni di dazi all’anno.

I COSTI PER L’EXPORT
Fin dove rischia l’Europa? Difficile fare una stima dell’impatto possibile sulla base del documento USTR. Basta dire però che gli Usa rappresentano il terzo mercato di destinazione di tutto l’export italiano che ammonta a circa 37 miliardi (quasi il 9% dei beni made in Italy esportati nel mondo), una fetta importante dei 362 miliardi dell’export europeo verso gli Usa. 

Se tuttavia dobbiamo considerare solo i prodotti agroalimentari, e quindi considerare anche un’estensione dell’elenco degli 80 prodotti monitorati dall’Ustr, per l’Italia l’export a rischio può arrivare a circa 3 miliardi considerando il vino, il prodotto più gettonato dagli statunitensi (1,35 miliardi in crescita del 5% nel 2016), olio (499 milioni), i formaggi (289 milioni), la pasta (271 milioni), le acque minerali e bevande non alcoliche (230 milioni di euro) e i motoveicoli (182 milioni). Coldiretti stima che sia a rischio il 10% dell’export di food italiano nel mondo. Mentre Piaggio, additata ieri tra i gruppi a poter pagare il prezzo più alto, ha buttato acqua sul fuoco. Negli Stati Uniti, ha spiegato ieri il gruppo, vendiamo soltanto 5.000 veicoli sotto 500 di cilindrata esportati tra scooter e Vespa. E del resto anche per loro la notizia era già nota.

In realtà manca ancora un quadro chiaro sul quadro generale delle restrizioni che potrebbero scattare con Trump, come sottolinea Alessandro Terzulli, chief economist di Sace (Gruppo Cdp). E in ogni caso va considerato che «il 2016 ha segnato un picco nelle misure protezionistiche adottate da diversi Paesi nel mondo: dal 2008 le barriere elevate sono salite a oltre 3.500, soltanto gli Stati Uniti hanno adottato 1.000 nuove misure».
 

Ultimo aggiornamento: 17:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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