I mercati dimostrano che non c'è complotto

Martedì 9 Ottobre 2018
Compreso che lo spread non è ne buono né cattivo, ma semplicemente un indicatore che segnala il grado di rischio di un debito sovrano rispetto ad un altro, ora è entrato nel mirino del governo gialloverde «il plotone di speculatori alla Soros», che manovra in modo da farlo impennare mettendo in difficoltà il Paese per assicurarsi a prezzo vile quel che ancora c'è di buono nell'industria e nel made in Italy. Non più quindi la demonizzazione dello spread, che tanti guai può procurare ma che non ha colpe in sé; bensì un atto d'accusa contro i professionisti della manipolazione che muovono le loro leve per biechi obiettivi di guadagno o, addirittura, di destabilizzazione del Paese.

Ci risiamo con la teoria del complotto, tanto irrisa dagli esponenti dell'attuale maggioranza, quando altri inquilini abitavano Palazzo Chigi, e tanto rilanciata in questi giorni. Nessuno di loro sembra però sfiorato dai motivi che sono alla base dell'aggressiva dinamica dello spread. Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti qual è il processo cognitivo che ispira l'azione dei mercati, i quali in prima battuta si muovono sulla base di valutazioni proprie, con propri strumenti di verifica, mentre gli eventuali richiami della Commissione Ue o i giudizi delle agenzie di rating - che arrivano sempre più avanti - servono semmai a corroborare le loro convinzioni accentuando il trend punitivo.
O, caso non raro, migliorando le condizioni operative avendo gli indici già scontato gli annunci negativi (ma non è il caso di questi giorni).

D'altro canto, quando istituti titolati come il Credit Suisse propongono elaborazioni teoriche che proiettano le conseguenze di uno spread Btp/Bund a quota 400 - non probabile, tuttavia possibile in fasi di tensione come questa - con forte indebolimento del sistema bancario per via del gran carico di titoli di Stato custoditi nei suoi forzieri, che può fare un gestore cui sono affidati i risparmi di decine di migliaia di cittadini? Agisce di conseguenza, mettendo al riparo da ulteriori erosioni il gruzzolo che gli è stato affidato attraverso opportuni disinvestimenti. Così facendo contribuisce, insieme a tanti altri come lui, ad accrescere il senso di sfiducia nella solidità del Paese, attivando una spirale che finisce fatalmente per autoalimentarsi se non vengono modificati i comportamenti giudicati non virtuosi o le scelte di politica economica che proiettano stime di crescita irrealistiche.

D'altro canto, date le condizioni dei nostri conti pubblici, sotto qualunque cielo un deficit al 2,4% significa non un miglioramento, bensì un peggioramento di circa l'1% del disavanzo strutturale. Per non parlare del debito pubblico che, secondo alcuni economisti vicini ai gialloverdi, non sarebbe un problema. Effettivamente è così: in condizioni di stabilità e di conti equilibrati, la medicina di Keynes può aiutare davvero. Ma dopo quello che abbiamo visto negli ultimi dieci anni in seguito al fallimento di Lehman Brothers, dovremmo avere imparato che in situazioni di emergenza un debito elevato può mettere in ginocchio un Paese.

L'Italia vanta indubbiamente una ricchezza privata degna di considerazione, capace di doppiare il peso del debito pubblico senza grande sforzo; ma i confronti di queste grandezze non hanno in sé soluzioni automatiche, a meno che non si agisca d'imperio manovrando la leva fiscale. Resta da chiedersi se in questo momento l'Italia disponga di margini di manovra fiscali che non siano compresi nelle clausole di salvaguardia, cosa che non sembra proprio. Quindi i rischi di default sono sempre possibili: ed è questo che misurano i mercati quando impostano le loro strategie di investimento o disinvestimento, ancor prima che Bruxelles scenda in campo o le agenzie di rating esprimano i loro voti.
Può darsi che in questo momento tra i grandi fondi d'investimento internazionali qualche emulo di Soros si muova con finalità poco nobili, ma viste le grandezze spostate nell'intermediazione quotidiana è dura credere che lo spread oltre quota 300 sia frutto delle sue manovre. E' il mercato, bellezza.
 
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