Vizi del passato/ L’ora del realismo e l’occasione persa per la crescita

Venerdì 14 Dicembre 2018 di Paolo Balduzzi
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Non sarà davvero stata la lettera di Babbo Natale, ma strappare un ormai probabile accordo con l’Ue è un epilogo quasi insperato.Certo, si tratta di un accordo dai contorni ancora incerti, tanto è vero che all’atmosfera di festa che si respira fanno già da timido contraltare le dichiarazioni tendenti al solito gelo di qualche commissario rigorista. Tuttavia, la riduzione del deficit è decisamente significativa: quasi mezzo punto percentuale, una cifra non lontana da 7 miliardi di euro. Un intervento che se riducesse dello stesso ammontare anche il deficit strutturale (quello al netto delle operazioni una tantum, per intenderci) non lascerebbe argomento alla Commissione europea. 
Ma questo punto di arrivo, a ben vedere, sembra davvero poco lontano da quello che avrebbe potuto essere il punto di partenza tre mesi fa. Circola la battuta: Tria porta a Natale a Bruxelles la fotocopia del piano tria di settembre. Purtroppo nel frattempo il nostro Paese lascia in questa trattativa decine di miliardi bruciati a causa dell’innalzamento dello spread e il rischio di non approvare entro la fine dell’anno la legge di bilancio. I più realisti sapevano dall’inizio che sarebbe finita così; col passare del tempo, però, quella certezza si era declassata a meno che una speranza. Alla fine, sui numeri, almeno quelli sulla carta, si è imposta la linea mediana di chi ha sempre sostenuto che quel 2,4% di deficit, utilizzato per finanziare soprattutto spesa corrente e assistenziale, non sarebbe stato realistico. Ma al di là dei numeri, c’è davvero qualcosa di nuovo in questa manovra o sono solo correzioni contabili? La risposta è cruciale perché sullo sfondo resta lo spettro di una crescita inferiore al previsto, che potrebbe portare a un nuovo ritocco, ex post e al rialzo, del deficit stesso. Siamo di fronte ad una grande occasione mancata. Anzi, ad una strategia in perfetta continuità con i peggiori vizi del passato. Cioè di chi usava i decimali non per fare scommesse di sviluppo ma per regolare e proteggere precisi settori degli elettori di riferimento. Mance elettorali, appunto. 
È sufficiente rinviare di qualche mese, dalla primavera all’estate o addirittura all’autunno, l’entrata in vigore di “quota 100” per le pensioni e del reddito di cittadinanza? Se confermate, queste misure saranno comunque a regime dal 2020 e di certo la Commissione europea vorrà avere garanzie che esistano coperture certe per non doverle di nuovo finanziare in deficit. Ecco dunque avanzare alcune indiscrezioni rispetto alla possibilità che la copertura sarà fornita da aumenti dell’Iva. Proprio la famosa clausola di salvaguardia, emblema dei vecchi governi, potrebbe essere finalmente – e ironicamente - attivata dal governo del cambiamento. Il che, sia chiaro, potrebbe anche non essere una cattiva idea. Ma l’aumento non dovrebbe emergere come banale necessità di fare cassa per finanziare spese assistenziali, bensì inserirsi in un quadro di sviluppo che preveda, da un lato una redistribuzione fiscale tra imposte dirette e imposte indirette (usare un po’ di gettito Iva per tagliare il cuneo fiscale e aumentare l’occupazione) e dall’altro il finanziamento di politiche di crescita.
Ed ecco gli insegnamenti da trarre: il governo sostiene che è inutile fossilizzarsi sui decimali (salvo poi fissare al centesimo il nuovo obiettivo di deficit del 2,04%). Ma questo argomento avrebbe avuto senso in presenza di un deficit del 3,5% che avesse interamente finanziato investimenti e quindi alla crescita, che non avrebbe probabilmente incontrato alcun ostacolo.
Il secondo insegnamento è che se pure l’Europa ci desse il suo ok i richi per il sistema restano. Con l’Europa si può fare muso duro ma con i mercati no: l’Italia ha disperato bisogno di finanziare il proprio debito e non può permettersi aste di titoli deserte o tassi d’interesse troppo elevati. L’attuale spread che oscilla attorno a 270-280 non è certo un equilibrio di lungo periodo: dimostrare di essere disposti a trattare riporterà quanto prima il differenziale a livelli più bassi, coerenti con i fondamentali dell’economia italiana. Resta da capire se di questi insegnamenti il governo farà tesoro o se la tentazione di nuove elezioni o comunque la scadenza delle Europee entro l’anno soffocherà il realismo, ma soprattutto le residue speranze di crescita.
Ultimo aggiornamento: 00:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA