Marchionne, il manager duro che ha salvato la Fiat

Sabato 21 Luglio 2018
Marchionne, il manager duro che ha salvato la Fiat

E' il manager che nel 2004 ha saputo gettarsi in un'impresa impossibile, salvando la Fiat dal fallimento e risanandola. Nato a Chieti 66 anni fa, figlio di un maresciallo dei Carabinieri, per molti anni all'estero prima dell'arrivo alla Fiat, Sergio Marchionne ha lasciato, in anticipo sulla tabella di marcia prevista e sempre confermata, le redini di Fca, Cnh Industrial e Ferrari.

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Un uomo capace di fare scelte impopolari, protagonista del duro scontro frontale con la Fiom, negli stabilimenti e nelle aule dei tribunali, sul nodo della governabilità delle fabbriche contro assenteismo e microconflittualità diffuse. Una condizione per investire a Pomigliano e poi a Mirafiori, dove la maggioranza dei lavoratori approva gli accordi. Un altro fronte, destinato a ridisegnare le relazioni industriali, Marchionne lo apre con Confindustria annunciando a fine 2011 l'uscita dall'associazione. Una decisione clamorosa perché all'inizio del '900 la Fiat era stata uno dei suoi soci fondatori.
 

 


Studi in Canada (tre lauree in Filosofia, Economia, Giurisprudenza e master in Business Administration), domicilio
in Svizzera, dove abita l'ex moglie, due figli, Marchionne, l'uomo dal maglioncino nero, ha vissuto gli ultimi anni tra
Torino e Detroit, guidando la rivoluzione che ha portato in Borsa Cnh Industrial e Ferrari. A Maranello, dove ha preso le redini della Rossa nel 2014, sarebbe dovuto rimanere fino al 2021, due anni ancora dopo l'addio a Fca.

Un manager al centro anche delle relazioni politiche mondiali, da Obama a Trump, che in Italia ha respinto l'invito di Silvio Berlusconi a candidarsi con il centrodestra e ha avuto una lunga luna di miele con l'ex premier Matteo Renzi dal quale ha poi preso le distanze. 

A Torino Marchionne lo aveva portato Umberto Agnelli, che lo aveva conosciuto in Sgs e lo aveva voluto nel consiglio di amministrazione. Il primo giugno 2004, pochi giorni dopo la morte di Umberto, è l'uomo scelto per guidare la rinascita, con Luca di Montezemolo presidente e John Elkann vicepresidente. Sul fronte finanziario i primi successi del manager italo-canadese sono la rottura dell'alleanza con Gm, che impedisce l'acquisto di Fiat Auto da parte della casa Usa e l'accordo con le banche sul convertendo da 3 miliardi di euro, grazie al quale gli Agnelli mantengono il controllo.

Marchionne, che il 17 febbraio 2005 diventa anche amministratore delegato dell'auto (solo Cesare Romiti aveva tenuto le due cariche), lancia a Torino la Grande Punto e vara un piano che prevede entro il 2008 investimenti per 10 miliardi. I conti del 2005 sono quelli della svolta: il gruppo registra, per la prima volta dopo cinque anni, un utile di 1,4 miliardi e il risultato della gestione ordinaria è venti volte superiore a quello del 2004. Quando presenta i conti 2006, Marchionne parla di una Fiat finalmente uscita dall'emergenza e a suggellare la rinascita arriva il 4 luglio 2007 la nuova 500 presentata con una grande festa a Torino. La crisi del 2008 costringe il Lingotto a modificare i piani e richiede un massiccio ricorso alla cassa integrazione.

«Il 2009 - ammette Marchionne - sarà l'anno più difficile della mia vita perché sono state spazzate via le condizioni sulle quali avevamo definito i nostri programmi». Il 2009 è però anche l'anno del salvataggio di Chrysler dal fallimento, con la trattativa con il Tesoro Usa e i sindacati americani e la benedizione da parte del presidente Barack Obama. L'operazione da cui è nata Fiat Chrysler Automobiles, sesto produttore mondiale di auto, con domicilio fiscale a Londra e sede legale trasferita dopo 115 anni da Torino ad Amsterdam, quotata a Milano e a Wall Street. Ultimo atto a Balocco nel Capital Market Day di Fca l'annuncio del traguardo del debito zero e di un piano di 45 miliardi di euro di investimenti con al centro vetture premium e l'auto del futuro.



 

Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 09:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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