L'Italia punta i piedi con la Ue: «Cambiare le regole sui conti»

Domenica 3 Aprile 2016 di Luca Cifoni
L'Italia punta i piedi con la Ue: «Cambiare le regole sui conti»
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Il governo italiano non si arrende e continua il pressing per regole di bilancio più flessibili, o meglio per una valutazione più realistica di quanto è avvenuto nell'economia del Vecchio Continente negli ultimi anni. Valutazione che rimetterebbe i conti del nostro Paese in linea con i parametri dei Trattati senza bisogno di manovre correttive e nemmeno di particolari deroghe ad personam.

Non soddisfa l'esecutivo la presa di posizione un po' burocratica con cui, in attesa di una risposta formale, la commissione europea ha reagito alla lettera di otto ministri europei che chiedono una diversa metodologia per stimare l'output gap e dunque gli effetti della crisi. Quella posizione è evocata anche nell'intervista al Messaggero del vicepresidente della commissione Valdis Dombrovskis: le procedure di calcolo - si argomenta - sono state concordate a suo tempo dai vari ministri e quindi non ci sarebbero motivi particolari per rivederle.
Al contrario, al Tesoro ritengono che la commissione abbia la possibilità di correggere da sola, in piena autonomia, quella che appare come un'incongruenza. L'output gap - è il caso di ricordarlo - indica la distanza tra la crescita potenziale di un'economia, in condizioni normali, e quella effettivamente conseguita. Concretamente, nei Trattati europei serve a misurare quanta parte del disavanzo di bilancio è dovuta al cattivo andamento del ciclo economico e dunque va detratta dal calcolo del saldo strutturale. Se un Paese ha un saldo strutturale in linea con i parametri vuol dire che sta rispettando le regole, pur in presenza di un deficit nominale che invece dipende dalla recessione (per minori introiti fiscali, maggiore spesa sociale e così via).
LA LETTERA
Il problema è come calcolare questo gap. Già due anni fa il ministero dell'Economia aveva fatto alcune osservazioni sulla metodologia usata a livello europeo (definita all'interno dell'apposito Output gap working group), che veniva giudicata non del tutto realistica rispetto all'eccezionale crisi iniziata nel 2008. Nella lettera messa nero su bianco nei giorni scorsi con sette suoi colleghi Pier Carlo Padoan si sofferma in particolare su una «discrepanza», chiedendo di allineare l'orizzonte temporale sul quale la commissione determina l'output gap (2 anni) con quello usato normalmente dai singoli Paesi (4 anni). Una diversa costruzione tecnica dell'indicatore avrebbe conseguenze concrete molto rilevanti, evidenziando per il nostro Paese un saldo strutturale già in pareggio: a quel punto per avere margini di manovra non servirebbero più grandi concessioni in termini di flessibilità.

L'INFLAZIONE
Dal punto di vista italiano il nuovo sistema di misurazione potrebbe essere applicato già nelle prossime settimane, quando saranno valutati i Programmi di Stabilità dei vari Paesi. Se così non fosse, allora si aprirebbe con tutta probabilità una questione politica. Quello relativo all'output gap del resto non è l'unico tema sollevato da Roma. Nel recente position paper inviato a Bruxelles ce n'è anche un altro: l'adeguatezza degli indicatori di bilancio in presenza di un'inflazione praticamente nulla, e dunque di un prodotto nominale basso. Al di là dei singoli aspetti tecnici, Pier Carlo Padoan ha più volte sottolineato come la risposta data in Europa alla grande recessione sia stata ben meno efficace di quella americana.

Circa un anno fa, all'università Luiss, incaricato della laudatio in occasione del conferimento della laurea honoris causa a Jean Tirole il ministro (citando anche la misurazione dell'output gap) spiegò che se «le regole risultano inadeguate a gestire circostanze eccezionali» il loro pieno rispetto «può portare ad un comportamento controproducente e ad alla disgregazione delle istituzioni». Argomenti che potrebbe aver presto occasione di ribadire.

 

Ultimo aggiornamento: 4 Aprile, 15:01

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