Manovra, il condono diventa "mini". La Lega apre, oggi la tregua

Sabato 20 Ottobre 2018 di Alberto Gentili
Manovra, il condono diventa "mini". La Lega apre, oggi la tregua
Se va tutto come prevede Luigi Di Maio e spera Giuseppe Conte, oggi all'ora di pranzo il governo sfornerà un mini condono. Ma il prezzo che chiede Matteo Salvini per accettare la cura dimagrante alla sanatoria fiscale è alto. E' la bocciatura di diverse misure e richieste targate 5stelle: la Rc auto equa che tanto fa infuriare il Nord, il condono edilizio a Ischia, la cancellazione degli emendamenti e delle obiezioni pentastellate al decreto sicurezza e al disegno di legge sulla legittima difesa. Un approccio non ancora digerito, ieri sera, da Di Maio: «Non ci sarà alcun mercimonio su altri tavoli. Cancelleremo il condono tombale. Punto».

LA NOTTATA DEL PREMIER
Il premier Conte, tornato nel tardo pomeriggio da Bruxelles e finito nel mirino di Salvini («lui leggeva il testo del decreto e Di Maio verbalizzava»), si trova così a tentare un'ultima, disperata mediazione. Ma non l'aiuta il fatto che ieri, dopo un iniziale tentativo di appeasement, Di Maio e Salvini se le siano date di santa ragione. E che la luna di miele, la chimica tra i due sia ormai svanita. Sia il capo pentastellato che il leader leghista - è previsto un faccia a faccia questa mattina prima del Consiglio dei ministri fissato per le 13 - però appaiono determinati a evitare la crisi. Il primo perché sa che se si va a elezioni non sarà lui il candidato premier del Movimento. Il secondo perché teme che la rissa alimenti la speculazione finanziaria, facendo schizzare lo spread oltre i livelli di guardia (ieri è salito a quota 335 per poi calare). E in fondo teme l'ipotesi (lontanissima) di un governo Pd-5Stelle: «Io favori al Pd non ne faccio e neppure ai mercati e all'Europa che puntano sulle nostre divisioni». Perciò: «Chi se ne frega di condoni e condonini. La Lega è nata per dare lavoro e ridurre le tasse, non per condonare».

Parole che fanno dire a Stefano Buffagni, mediatore per conto dei 5Stelle, che «la frattura verrà rimarginata», che «un'intesa si troverà». Ma la quadra, ieri notte, ancora non era stata trovata: «E' un'equazione irrisolvibile trovare una soluzione», dicevano in casa Lega. «Tutto si deciderà all'ultimo momento, la partita è difficilissima», confermava un grillino che segue la trattativa.

Di Maio, insieme a Buffagni e ad alcuni tecnici, ieri ha studiato a lungo il dossier con la speranza di andare a dama prima delle kermesse del Circo Massimo. L'ipotesi che avanza - ma che dovrà essere messa nero su bianco oggi - è di cambiare i connotati al contestato articolo 9 del decreto fiscale. Sì alla non punibilità per chi fa la dichiarazione integrativa (altrimenti nessuno aderirebbe alla sanatoria, temendo conseguente penali). Via, invece, il condono per i proventi da immobili e capitali detenuti all'estero (di «provenienza mafiosa», secondo i grillini). Inoltre verrebbe cancellato pure il perdono per riciclaggio e autoriciclaggio. Molto più difficile invece che passi un'altra richiesta dei 5Stelle: la riduzione del tetto della sanatoria (ora è a quota 100mila euro) per ogni singola imposta. Con due problemi. Il primo: in nottata la Lega faceva sapere che «non esiste ancora alcuna bozza di accordo». Il secondo: il gettito inevitabilmente si ridurrà e dunque il governo dovrà trovare altre coperture.

IL NODO GIORGETTI
Nel faccia a faccia che precederà la riunione del governo, Di Maio è determinato a chiarire con Salvini anche il ruolo di Giancarlo Giorgetti. Il plenipotenziario leghista, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, è ormai visto dai grillini come un «nemico». Uno che «lavora nell'ombra» e «mette i bastoni tra le ruote». In più, secondo i pentastellati, sarebbe stato lui a non aver voluto convocare il pre-consiglio dei ministri che lunedì scorso avrebbe dovuto analizzare il testo del decreto. «Il risultato è che siamo arrivati al momento decisivo senza un articolato e solo con un foglietto volante», dicono i 5Stelle. Tant'è, che Di Maio ha posto la questione pur senza citare Giorgetti: «Noi avevamo chiesto di riunire il pre-consiglio. Chi lo doveva convocare non era Conte, ma un'altra persona. E mi fermo qui...». Per poi aggiungere: «Andranno rivisti i regolamenti del Consiglio dei ministri, ci devono essere procedure più chiare». Difficile però immaginare che Salvini possa depotenziare e tantomeno scaricare il suo braccio destro.
Ultimo aggiornamento: 4 Aprile, 19:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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