La Fed non tocca i tassi/ La prudenza e il messaggio all'Europa

Giovedì 17 Settembre 2015 di Osvaldo De Paolini
Non era scontato che la Federal Reserve lasciasse immutato il livello dei tassi. Anzi, nelle ultime ore aveva preso vigore l’idea di un ritocco verso l’alto, seppure contenuto e sottoposto a verifica. Sarebbe però superficiale pensare che nulla è accaduto; se il costo del denaro è rimasto invariato, la scelta della presidente Janet Yellen di denunciare a chiare lettere la preoccupazione per l’andamento dell’economia globale offre ai mercati e ai governi elementi di riflessione che fanno passare in secondo piano l’ottimismo per un’economia, quella americana, che ha ripreso robustezza.



Va detto che non dev’essere stata una decisione facile per il Fomc (il braccio operativo della Fed), che fino all’ultimo si era diviso al proprio interno tra quanti premevano per un rialzo subito, vista appunto la vivacità dell’economia americana, e chi invece chiedeva prudenza soprattutto in relazione alle vicende cinesi e alla frenata dei Paesi emergenti; con la Yellen, silente da settimane per evitare letture maldestre delle sue parole, inchiodata al dilemma, ben sapendo che una decisione inappropriata o intempestiva avrebbe avuto ripercussioni sui mercati mondiali per lungo tempo.



Nella decisione della Fed ha fortemente inciso anche il dato sull’inflazione di agosto che, sorprendendo i principali analisti americani, si è rivelato negativo dello 0,1% rispetto a luglio mentre è salito di un modesto 0,2% su base annua: valori, entrambi, che non potevano che portare acqua al mulino di chi premeva per il rinvio.



Siamo infatti molto lontani dall’obiettivo di lungo termine della Fed, fissato al 2%; se a ciò si aggiungono le attese di un’ulteriore caduta del prezzo del greggio (Goldman Sachs ha di recente individuato un punto minimo di caduta a 20 dollari il barile), ben si comprende perché i timori più che verso il rischio di surriscaldamento dell’inflazione vanno orientati verso il permanere di un clima deflazionistico che può ancora peggiorare. Un problema peraltro condiviso in Europa: non a caso da almeno un mese il governatore Mario Draghi preme su questo tasto, mettendo in guardia dai rischi di una situazione che ancora non offre spunti per una chiara lettura.



Non hanno dunque prevalso le tesi di chi sosteneva che la crisi della Cina non è al momento in grado di influenzare la ripresa americana e che le misure espansive già adottate e in via di adozione da parte del governo di Pechino sono tali da rallentare con certezza la frenata di quel Paese, che continua a suscitare timori. Così come non sembra aver inciso quale motivo deterrente il timore che, in caso di avvio della stretta, la Cina avrebbe rovesciato sul mercato parte dei 1.271 miliardi di titoli del debito Usa per ritorsione: una eventualità poco credibile, visto che la vendita massiccia avrebbe quale primo effetto di costringere la People’s Bank of China a iscrivere perdite formidabili nel suo bilancio.



Va dato atto alla Yellen di avere parlato con grande lucidità e trasparenza durante la conferenza stampa seguita all’annuncio. E mentre non ha nascosto i timori per l’evoluzione dell’economia globale - rispondendo anche a domande allusive come quelle relative al peso delle turbolenze cinesi sulla decisione - non ha mancato di sottolineare che un eventuale rialzo dei tassi avrebbe sì trasmesso un messaggio rassicurante sul trend dell’economia americana, ormai capace di stare in piedi sulle proprie gambe; ma che ciò avrebbe comportato conseguenze rilevanti per l’impatto della manovra su molti Paesi emergenti indebitati in dollari. Senza considerare che le svalutazioni competitive che sarebbero seguite avrebbero probabilmente contribuito ad accrescere i rischi di deflazione anche negli Stati Uniti.



Date le premesse, a questo punto sembra improbabile che la Fed possa muovere la leva verso l’alto prima che siano diradate le nubi intorno al mondo. E ciò potrebbe voler dire che se ne riparlerà nel 2016. Il che non significa che la Fed resterà immobile di fronte all’evoluzione dell’economia globale: la Yellen, che ha ribadito la volontà di perseguire una politica monetaria accomodante, non ha infatti esitato a precisare che qualora fosse necessario verrebbe di nuovo imbracciato il bazooka del Quantitative easing.



Come reagiranno oggi le Borse? Ieri sera Wall Street ha reagito in modo contraddittorio, incerta sul da farsi e probabilmente in attesa di valutare meglio le parole della presidente della Fed. Probabilmente nei prossimi giorni prevarrà la volatilità, anche perché più che l’attesa sulla mossa dei tassi Usa ora torneranno al centro del dibattito degli operatori lo stato reale delle singole economie.



La stessa Europa è chiamata un esame di coscienza più profondo. Non che la Bce non abbia già fornito elementi di riflessione; anzi, per certi versi gli ultimi interventi di Draghi sembrano concordati e conseguenti con quello del presidente della Fed. Quanto all’Italia, oggi il governo varerà il Def con proiezioni sulla legge di Stabilità: è improbabile che la decisione della Fed incida sulle grandezze già fissate, ma non è da escludere un pizzico di prudenza in più nelle previsioni. Un eccesso di ottimismo sarebbe fuori luogo.
Ultimo aggiornamento: 18 Settembre, 00:18

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