Pensioni, sale l'età per le donne. Torna l'indicizzazione: aumenti dell'1,1%

Sabato 30 Dicembre 2017 di Luca Cifoni
Quest'autunno, la discussione in materia previdenziale si è concentrata su un nodo che riguarda il 2019, ovvero l'aumento di cinque mesi dei requisiti di età e di quelli contributivi a seguito dell'incremento dell'aspettativa di vita. Un salto che porterà l'età della pensione di vecchiaia a 67 anni tondi, ma in base a quanto deciso con la legge di Bilancio non riguarderà 15 categorie di lavoratori impegnati in attività gravose (poco meno di 15 mila persone inizialmente). Ma al di là di questa parziale revisione delle regole, erano già in vigore importanti novità che manifesteranno i propri effetti nel 2018.

La più importante per chi deve ancora lasciare il lavoro scatterà dal primo gennaio e riguarda le donne: l'età della pensione di vecchiaia viene completamente equiparata a quella degli uomini, con il passaggio a 66 anni e 7 mesi anche delle lavoratrici dipendenti del settore privato. Sempre le lavoratrici però sono interessate da un'altra novità indiretta, la mancata proroga della cosiddetta opzione donna. Il prossimo anno poi dovrebbero entrare nel vivo l'anticipo pensionistico (Ape) nella sua doppia forma di indennità per i lavoratori particolarmente meritevoli di tutela e di prestito volontario da restituire per tutti gli altri: entrambi gli strumenti erano stati previsti dalla legge di Bilancio di un anno fa, ma sebbene formalmente in vigore dal primo maggio 2017 hanno avuto una partenza decisamente lenta.

Da gennaio poi torna la rivalutazione delle pensioni, a beneficio di chi il lavoro lo ha già lasciato. Per due anni non c'erano stati incrementi a causa dell'inflazione piatta; ora la percentuale provvisoria dell'1,1 per cento viene riconosciuta solo in maniera parziale ai titolari di assegni medi e alti: dal 2019 andrà in vigore un meccanismo di rivalutazione più generoso.

Per dipendenti private e autonome uscita a 66 anni e 7 mesi
Il percorso iniziato nel sei anni fa sta per concludersi: dal 2018 l’età per la pensione di vecchiaia sarà del tutto allineata tra uomini e donne a quota 66 anni e 7 mesi. Concretamente, il gradino riguarda sia le dipendenti del settore privato, che ancora nel 2017 hanno maturato il diritto all’uscita con 65 anni e 7 mesi, sia le lavoratrici autonome finora posizionate a 66 anni e 1 mese. Dunque nel primo caso l’innalzamento è di un anno secco, nel secondo di sei mesi. Il limite di età è sempre stato differenziato tra uomini e donne: fino al 2010 i primi potevano lasciare il lavoro a 65 anni, mentre per le loro colleghe ne bastavano 60. Dall’anno successivo c’è stato un primo scatto per le dipendenti pubbliche, passate a 61 anni prima del grande salto a 66 già nel 2012: un cambiamento imposto dalle norme europee che vedevano questa differenza come una forma di discriminazione. La riforma Fornero ha fatto il resto definendo la marcia delle altre categorie femminili verso i 66. Inoltre nel 2013 e nel 2016 il requisito di vecchiaia è stato innalzato prima di tre mesi poi di quattro, per il meccanismo di adeguamento alla crescita della speranza di vita.

Ape, indennità allargata scatta a gennaio il prestito volontario
Hanno un nome simile ma si tratta in realtà di due strumenti diversi. L’Ape social è un’indennità-ponte in vista della pensione, riservata a coloro che hanno 63 anni e sono disoccupati , oppure invalidi o impegnati nella cura di parenti disabili, o ancora svolgono attività professionali gravose. In vigore sulla carta dal maggio scorso, l’indennità sta arrivando in questi giorni nelle tasche di una prima pattuglia di interessati, che hanno ricevuto gli arretrati relativi al 2017. Dal 2018 sarà possibile presentare di nuovo domanda, con parametri allargati: saranno 15 invece di 11 le categorie di lavoratori impegnati in attività gravose, mentre per le lavoratrici madri i requisiti contributivi si ridurranno di un anno a figlio fino a un massimo di due. Invece l’Ape volontaria, destinata potenzialmente a tutti i lavoratori, è un prestito che permette di percepire un reddito nel periodo che va dai 63 anni al momento del pensionamento ma poi va restituito in 20 anni a valere sulla futura pensione. Il debutto è atteso a gennaio, dopo la firma della convenzione con banche e assicurazioni che partecipano all’iniziativa: tutte le procedure saranno comunque gestite dall’Inps.

Niente proroga, finisce per le lavoratrici l’opzione contributivo
Dal 2004 è stata un’uscita di sicurezza di fronte alle progressive strette delle riforme previdenziali: prima quella di Maroni poi la ancora più incisiva Fornero. La cosiddetta “opzione donna”, che non è stata prorogata e di fatto si esaurirà all’inizio del 2018, non era comunque una soluzione indolore visto che in cambio della possibilità di lasciare il lavoro anche a 57-58 anni di età (con 35 di contributi) le interessate hanno accettato il calcolo della pensione con il metodo contributivo puro, che comporta una sua riduzione anche del 20-30 %. La scelta è diventata però relativamente più appetibile dal 2012 dopo la stretta della riforma Fornero. La legge prevedeva che l’opzione terminasse nel 2015: è stata poi mantenuta per le lavoratrici che avrebbero raggiunto il limite di età nel corso del 2016 per gli scatti legati all’aspettativa di vita (che si applicano anche a questo requisito). Siccome all’opzione donna si applicano le vecchie “finestre” di uscita le ultime lavoratrici dipendenti hanno potuto accedere alla pensione con questo regime nel corso del 2017 mentre per le autonome (che hanno una “finestra” di un anno e mezzo) ci saranno ancora uscite tra gennaio e febbraio.

Non scatterà più il paracadute per i nati nel 1952
Era una clausola che la stessa legge definiva “eccezionale” una sorta di paracadute per i lavoratori più duramente penalizzati dalla legge Fornero, ovvero quelli (principalmente nati nel 1952) che al momento dell’approvazione della riforma stavano per maturare il diritto alla pensione: o per anzianità o nel caso delle dipendenti private per vecchiaia a 60 anni. Per queste persone il traguardo veniva spostato in avanti anche di 6-7 anni, per cui con una correzione in corsa al testo della legge si decise di attenuare il danno prevedendo la possibilità di accedere alla pensione a 64 anni compiuti, a beneficio dei soli lavoratori dipendenti. Per molti di loro però c’è stato qualche mese in più da aspettare, perché nel frattempo anche ai 64 anni è stato applicato il meccanismo di adeguamento all’aspettativa di vita e sono così diventati 64 e 7 mesi nel 2016. La possibilità di fare ricorso a questo canale si è di fatto esaurita la scorsa estate, salvo naturalmente l’uscita di chi il diritto lo ha già acquisito. Ancora pochi giorni fa l’Inps è intervenuta con una nuova circolare sul punto delicato del requisito del lavoro dipendente richiesto per utilizzare la clausola.

Torna l’indicizzazione dei trattamenti: aumenti fino all’1,1%
Non riguarda chi deve ancora lasciare il lavoro ma chi si trova già in pensione e si tratta di una novità certamente attesa. Con la rata in pagamento dal 3 gennaio gli importi saranno nuovamente rivalutati in base all’inflazione (provvisoriamente misurata) del 2017, pari all’1,1 per cento. Lo scorso anno e nel 2016 i trattamenti pensionistici non erano stati incrementati perché nei due anni precedenti la dinamica dei prezzi era stata pari a zero (o addirittura leggermente negativa). Il meccanismo di “perequazione” non è però uguale per tutti: l’aumento dell’1,1 per cento si applica alle pensioni fino a tre volte il minimo Inps, dunque fino a 1.505,67 euro lordi mensili. Tra 3 e 4 volte si applica il 95 per cento della rivalutazione (pari a 1,045%) tra 4 e 5 il 75 per cento (0,825%), tra 5 e 6 volte il minimo il 50 (0,55%) oltre le 6 volte il 45 per cento (0,495%). Sulla pensione sarà però applicata un minuscola trattenuta per recuperare lo 0,1% relativo alla rivalutazione definitiva 2015 (risultata minore di quella provvisoriamente riconosciuta); trattenuta che era stata sospesa per due anni proprio in concomitanza con il mancato aumento delle pensioni.

 
Ultimo aggiornamento: 2 Gennaio, 07:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA