L'irritazione del Carroccio: flat tax, non decide Di Maio

Domenica 16 Settembre 2018
L'irritazione del Carroccio: flat tax, non decide Di Maio
IL RETROSCENA
ROMA L'invasione di campo di Luigi Di Maio sul terreno della flat tax non è stata gradita in casa Lega. Matteo Salvini, parlando con i suoi, se la cava con una battuta per sdrammatizzare: «Sono giorni in cui tutti chiacchierano però nessuno si offende». Ma sentir dire al leader 5stelle come sarà la riforma fiscale bandiera dei lumbard momentaneamente semi ammainata (il prossimo anno riguarderà solo gli autonomi), a molti leghisti non è andata giù.
«Di Maio sostiene che la flat tax non sarà rigida e che aliquote saranno tre? Forse si confonde, il capo grillino non è un fiscalista...», dice Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio della Camera. E aggiunge: «Come va fatta la riforma fiscale è scritto nel contratto di governo e lì è stato messo nero su bianco che ci sarà un'aliquota al 15 per cento e una al 20, accompagnate da un accorpamento di tutte le detrazioni e agevolazioni fiscali».
Borghi sa bene che l'ipotesi di tre aliquote (15-30-43%) non è campata in aria. Perfino in casa Lega se ne parla come passaggio intermedio verso i due scaglioni da realizzare entro la fine della legislatura. L'alzata di scudi si spiega così con la competition tra 5Stelle e Carroccio per la stesura della legge di bilancio.
In vista delle elezioni europee del prossimo maggio, i due partiti vogliono realizzare le proprie promesse elettorali per non essere penalizzati. E sono pronti a tirare fuori le unghie, anche a danno dell'alleato, pur di strappare le risorse per le loro misure di bandiera. I grillini il reddito di cittadinanza (a gennaio le pensioni minime a 780 euro, da maggio il reddito per circa 5 milioni di persone), i leghisti la riforma della legge Fornero a quota 100 con il pensionamento a 62 anni e un anticipo di flat tax per gli autonomi. E in mezzo c'è il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, determinato a tenere ferma la barra del rapporto deficit-Pil.
Tria aveva previsto di stanziare 10 miliardi (5 ai leghisti, 5 ai grillini) per soddisfare le promesse. Nelle ultime ore, Salvini e Di Maio sarebbero riusciti ad alzare fino a quota 8 miliardi la dote nella manovra economica. Cifra sufficiente sia per avviare il reddito, sia per la Fornero.
L'EXIT STRATEGY
Se così non fosse o se questo gruzzolo non dovesse bastare, nei due partiti sta avanzando però l'idea di modificare la legge di bilancio in Parlamento. Non il solito e classico assalto alla diligenza, sventato per tradizione con il voto di fiducia volto a blindare la manovra. Ma una sorta di giudizio d'appello, nel massimo organo legislativo, con la benedizione dei due leader.
Si tratta di un'ipotesi estrema che dovrebbe avere la sponda del premier Giuseppe Conte (è lui che deve decidere se mettere la fiducia) e che già allarma sia Tria, sia i ministri più attenti e preoccupati dai rischi di una tempesta finanziaria. «Come abbiamo visto in questi mesi bastano le dichiarazioni di qualche esponente della maggioranza per far impennare lo spread», dice un ministro di alto rango, «figurarsi cosa accadrebbe se il Parlamento votasse modifiche alla manovra capaci di modificare sostanzialmente i saldi di bilancio...».
Alberto Gentili
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