Bitcoin, Dean Baker: «Più vicini alle scommesse che alla finanza, nessun fondo in questo mercato dei sogni»

Mercoledì 29 Novembre 2017 di Flavio Pompetti
Bitcoin, Dean Baker: «Più vicini alle scommesse che alla finanza, nessun fondo in questo mercato dei sogni»
NEW YORK - «Siamo fuori dal regno del razionale, siamo in un campo che è più vicino alle scommesse sui cavalli e al gioco del lotto che ad uno strumento della finanza dice l'analista americano Dean Baker a proposito dell'euforia che accompagna i Bitcoin - Mi sbaglierò, ma se potessimo aprire il portafogli di George Soros, dubito che ci troveremmo dentro dei Bitcoin». Baker ammette però di essere confuso e frastornato da un fenomeno del quale è quasi impossibile valutare la reale portata e anche la semplice identità.

Il loro ideatore li vedeva come una moneta di scambio?
«Ma che moneta è una che cambia il rapporto con le principali valute mondiali del 2-3% ogni giorno, se non salta addirittura in doppia cifra? Come si può pensare di utilizzarla per acquistare merci di valore più o meno stabile, ed accettare l'alea di una perdita immediata? No, l'interesse di chi scambia in Bitcoin è assolutamente speculativo. Avete presente il recente acquisto del quadro i Leonardo per mezzo miliardo di dollari? Ecco, i Bitcoin sono l'equivalente di quella follia in campo finanziario».

Chi sono i possessori della criptovaluta?
«Non abbiamo delle notizie certe a riguardo, ma io penso che siano persone che hanno a disposizione alcuni milioni di dollari da investire in operazioni ad alto rischio. Sicuramente non è un acquisto proponibile per una banca d'affari, o per un fondo. L'eventuale scoppio della bolla potrebbe riservarci delle sorprese, ma dubito che un agente con un minimo di coerenza intellettuale si getterebbe in questo mercato dei sogni».

Il Tesoro Usa li definisce valuta virtuale decentralizzata, mentre per l'erario sono un possesso materiale. Chi ha ragione tra i due?
«La mia impressione è che ne' l'uno ne' l'altro abbia un grande interesse a valutarne l'esistenza, né a regolarne la circolazione. Dal loro punto di vista sono pezzi da collezione, il cui scambio a prezzi d'affezione non ha nessuna influenza sulle sorti dell'economia mondiale. Piuttosto è il ministero della Giustizia che dovrebbe interessarsene».

Perché?
«La Banca del Giappone si sta preparando a varare la sua versione di valuta digitale, e molte altre banche centrali stanno valutando il passaggio dalla cartamoneta alla moneta virtuale. Quando questo processo sarà terminato, diciamo tra dieci, quindici anni, l'uso dei Bitcoin resterà limitato a quello che già oggi appare come uno degli impieghi più importanti: il riciclaggio di denaro sporco, e gli acquisti di mercato nero, magari con l'intenzione di evadere le tasse. L'attuale anonimato li rende particolarmente utili ai criminali».

Lei si aspetta che dureranno così a lungo?
«Stiamo parlando in effetti di un bene di scambio molto fragile. L'emissione di nuovi Bitcoin è regolata da algoritmi variabili, ma è continua mese dopo mese, entro i limiti stabiliti dalla comunità che li accetta. Nel momento in cui la richiesta di acquisto scende l'emissione non si arresta, e questo fenomeno aggrava di volta in volta i cicli depressivi del valore della criptovaluta. Uno qualsiasi di questi cicli discendenti potrebbe essere letale».

I Bitcoin arriveranno davvero nei listini della Borsa mercantile di Chicago?
«Sarebbe un passaggio logico e un intervento moralizzatore. Ma per arrivarci sarà necessario dotarsi di una struttura di controllo, capace di monitorare tutti i passaggi di proprietà prima di autenticarli. Oggi chi fa l'offerta di un certo quantitativo di oro deve dimostrare di averne il possesso. Al momento questa semplice verifica è spesso fumosa negli scambi digitali dei Bitcoin, ma un legittimo mercato finanziario non può permettersi un tale livello di approssimazione».
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