L'aumento dell'Iva un tabù da abbattere

Venerdì 5 Ottobre 2018 di Osvaldo De Paolini
L'aumento dell'Iva un tabù da abbattere
Proposta: e se alla fine l'aumento dell'Iva si rivelasse il male minore? Se, messi da parte i pregiudizi che da sempre accompagnano questo argomento, si facesse cadere un tabù che tra l'altro impedisce all'Italia di essere in linea con molti partner europei? In passato erano sorti dubbi sull'opportunità di eventuali ritocchi all'insù dell'imposta, ma allora si trattava di contrastare umori che avevano messo nel mirino anche quella minima al 4% che, si ricorda, grava sui beni di prima necessità. Prudentemente gli ultimi governi hanno limitato alle aliquote del 10 e del 22% l'applicazione delle cosiddette clausole di salvaguardia, provvedendo però a sterilizzarle di volta in volta. Sicché da tre anni gli aumenti programmati nel 2015 sono congelati e, visto l'impegno contrattuale che il governo gialloverde si è assunto, anche per il 2019 non se ne farà nulla.

Ora, considerata la ricerca affannosa di un equilibrio tra spese e coperture che per obbligo costituzionale dovranno caratterizzare la manovra finanziaria, vien da chiedersi se non sia il caso di fare qualche riflessione in più sull'argomento. Anche perché, se sono chiari gli obiettivi di bilancio - sempre che alla fine risultino credibili - c'è confusione su come finanziarli, ed è forte il sospetto che si finirà ancora una volta, più di altre volte, per puntare sull'illusorio contributo della caccia agli evasori e su improbabili tagli di spesa superflua.
Di privatizzazioni, che servirebbero a ridurre la tensione sul debito, neanche a parlarne. Resta peraltro aperto il capitolo degli investimenti, il solo capace di qualificare la manovra rendendo credibile l'obiettivo di crescita, offrendo così quel cambiamento tanto proclamato che per ora si vede solo nelle parole. Dunque, se davvero rivoluzione si vuole fare, perché non infrangere un tabù che i governi precedenti non hanno osato rimuovere? Oltre a reperire le risorse necessarie per coprire capitoli di spesa oggettivamente improduttivi, si libererebbero risorse per non meno di 50 miliardi in soli tre anni senza colpo ferire, cogliendo di sorpresa i mercati con una manovra choc che nessuno prima ha mai osato. Si centrerebbero infatti due obiettivi cruciali: la riduzione del deficit e l'avvio di un piano d'investimenti che riporterebbe l'economia del Paese entro binari di forte crescita.

La stessa Europa non solo non avrebbe che dire, ma di sicuro si sbraccerebbe in elogi per il sentiero virtuoso imboccato dall'Italia che, così facendo, finalmente accoglierebbe i numerosi inviti dell'Ocse a trasferire le imposte dal fronte dei redditi a quello dei consumi. Nemmeno a dire, la manovra assumerebbe subito sembianze assai diverse, perché grazie al particolare meccanismo che regola le clausole di salvaguardia, il governo può incorporare nella finanziaria il relativo gettito stimato usandolo fin da subito per ridurre il deficit. Per meglio capirci, è come se i conteggi per la manovra in gestazione partissero da zero invece che da meno 12,5 miliardi, tanto è l'aumento previsto per il 2019 con l'Iva al 10% (cresciuta all'11,5%) e quella al 22% (cresciuta al 24,5%). Lo stesso accadrebbe nei due anni successivi, per i quali il gettito stimato sarebbe di 19,2 miliardi relativamente al 2020 e di 19,6 miliardi l'anno dopo. E' superfluo aggiungere che di fronte a una rottura così forte, lo spread Btp-Bund cadrebbe quasi subito ripristinando condizioni decisamente più favorevoli per il rifinanziamento del debito, sul quale nel giro di pochi mesi agirebbe anche un tasso d'inflazione più dinamico - segnalando così anche una significativa ripresa dell'economia - che ne renderebbe più accettabile il rapporto con il Pil.

Quanto all'impatto sui consumi, il pericolo sempre sbandierato da commercianti e imprenditori, nessuno è davvero in grado di prevedere che cosa accadrebbe. Sebbene non sia difficile intuire che, in una fase dove la fiducia dei cittadini si è consolidata dopo un periodo di pessimismo dominante e mentre si lavora per alleviare economicamente le categorie più deboli, l'eventuale riduzione sarebbe di portata modesta se non addirittura nulla. A sostegno di questa ipotesi vi è anche il fatto che si tratta di un'imposta spalmata su 60 milioni di cittadini, sicché il costo giornaliero per ciascuno di essi sarebbe di poco superiore a 60 centesimi per il 2019 e di circa 85 centesimi per i due anni successivi. Di fronte a queste cifre, che peraltro sono un valore medio, non sarebbe difficile spiegare agli italiani che forse la parte del Contratto relativa all'Iva non è stata ben ponderata e quindi lasciare che la legge sulle clausole di salvaguardia, tuttora in vigore, faccia il suo corso. Questa sì sarebbe una bella rivoluzione.
Ultimo aggiornamento: 22:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA