Abbiamo fermato la Vigilanza Bce, ora invertire la rotta

Sabato 17 Marzo 2018 di Antonio Tajani*
Abbiamo fermato la Vigilanza Bce, ora invertire la rotta

Per la precisione, la questione dell'Addendum introdotto dalla Vigilanza della Banca centrale europea sui crediti deteriorati. Nel suo editoriale di ieri Osvaldo De Paolini centra il vero nodo: le conseguenze negative sull'accesso al credito per imprese e famiglie.

Il Parlamento europeo ha ottenuto una vittoria della politica sulla burocrazia. La Vigilanza ha riconosciuto che non ha poteri normativi: dovrà agire caso per caso, non toccando le sofferenze già in essere, invertendo l'onere della prova. Per il futuro, la Vigilanza dovrà rispettare le nuove norme che il Parlamento e il Consiglio stabiliranno in co-decisione, a seguito della proposta della Commissione sui crediti deteriorati presentata due giorni fa.
Questa vittoria non basta. Voglio continuare a lavorare per affermare il primato della politica e dare ossigeno all'economia reale.

Il successo dei movimenti populisti, non solo in Italia, è un grido di accusa forte e chiaro contro una tecnocrazia europea che si è spesso girata dall'altra parte, indifferente al dramma delle imprese che falliscono o dei giovani che non trovano lavoro. La gestione, troppe volte teorica ed elitaria della crisi, con le Troike, la cieca austerità, la restrizione del credito, la pressione verso il basso dei salari, ha aumentato le diseguaglianze e la povertà, alimentando paura e rabbia.

Questo, sullo sfondo di una globalizzazione che l'Ue non ha saputo governare, e che ha favorito la finanza speculativa, i giganti del web, le multinazionali, i paradisi fiscali. A scapito di lavoro e imprese, letteralmente travolte da dumping sociale e ambientale, accordi fiscali di favore, sussidi e concorrenza sleale da parte di chi, come la Cina, non ha nulla a che vedere con un'economia di mercato. Si è indebolita la nostra base industriale, con delocalizzazioni che hanno distrutto milioni di posti di lavoro e costretto molte imprese Ue a chiudere i battenti.
All'interno della stessa Ue, assistiamo, non solo a dumping fiscale, ma a condizioni di accesso al credito che penalizzano i Paesi più deboli. Il Quantitve easing, che pure ha salvato l'euro, non è riuscito a facilitare il credito nelle aree in difficoltà.

Se non riusciremo a far ripartire il credito necessario per crescita e occupazione in paesi come l'Italia, rischiamo di consegnare l'Europa alle sirene populiste. Potrebbe cominciare un processo di disgregazione - di cui abbiamo visto i primi effetti con la Brexit - che finirebbe per impoverire tutti quanti, condannandoci all'irrilevanza sulla scena mondiale.

La crisi italiana è stata aggravata da una serie di errori a livello Ue e nazionale nella gestione del consolidamento bancario. Tra i più gravi, il non aver utilizzato la flessibilità del Patto di Stabilità, che io stesso avevo ottenuto da Vice Presidente della Commissione Ue, per pagare lo stock di circa 100 miliardi di debiti arretrati della Pubblica amministrazione. Si sarebbe evitato il fallimento di centinaia di migliaia di imprese e, quindi, miliardi di sofferenze bancarie.

La contrazione del credito per quasi un decennio, ha minato la struttura stessa dell'economia e della società italiana basata su 4 milioni di piccole e medie imprese. Si è agito tardi. Mentre Germania, Francia, Olanda o Belgio ristrutturavano il loro sistema bancario già nei primi anni della crisi, noi abbiamo tergiversato. Nel frattempo è stato approvato il bail-in e la Vigilanza bancaria Ue, ma senza completare l'Unione bancaria e dei capitali.
Questo nuovo quadro ha consegnato la gestione delle crisi bancarie a organismi non eletti che hanno dimostrato ottusità rispetto ai meccanismi dell'economia reale, contribuendo spesso ad aggravare la situazione anziché risolverla. La richiesta di continui aumenti di capitali ha ulteriormente minato la fiducia nel sistema bancario. Com'è stato possibile che funzionari della Commissione abbiano potuto esercitare una discrezionalità tale, arrivando a imporre la vendita di filiali in utile senza una vera ragione economica? Lo scollamento che si è creato tra cittadini e imprese che soffrono in un mercato globale spesso ingiusto, e questi funzionari privilegiati chiusi nelle torri d'avorio di Bruxelles o Francoforte, è il vero problema della governance europea che la politica deve trovare la forza di risolvere.

La prossima settimana vi sarà un Consiglio europeo dove, a nome del Parlamento, chiederò più coraggio per portare a termine il mercato europeo dei capitali e un bilancio Ue con maggiori risorse per far ripartire credito e investimenti soprattutto nei Paesi ancora in difficoltà.

È tempo di una chiara inversione di rotta. Come presidente dell'unica istituzione eletta direttamente dai cittadini, intendo far valere le prerogative del Parlamento europeo su ogni singola decisione. Lo chiedono 500 milioni di europei che ci hanno eletto per tutelare i loro interessi.
* Presidente dell'Europarlamento
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