Decreto dignità, Confindustria avverte: effetti peggiori delle stime

Mercoledì 18 Luglio 2018
Decreto dignità, il dg di Confindustria Marcella Panucci avverte: effetti peggiori delle stime
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Confindustria attacca il dl dignità. Il ritorno delle causali, esponendo le imprese «all'imprevedibilità di un'eventuale contenzioso, finisce nei fatti per limitare a 12 mesi la durata ordinaria del contratto a tempo determinato, generando potenziali effetti negativi sull'occupazione oltre quelli stimati nella Relazione tecnica al decreto (in cui si fa riferimento a un abbassamento della durata da 36 a 24 mesi)», avverte il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci in audizione sul Dl Dignità chiedendo modifiche ad una disciplina «pregiudizievole» per il mercato del lavoro.

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«È necessario - ha proseguito Panucci - modificare le misure contenute nel decreto-legge sulla disciplina dei contratti a termine, che sono inefficaci rispetto agli obiettivi dichiarati e potenzialmente pregiudizievoli per il mercato del lavoro». «Le riforme degli anni scorsi - ha ricordato Panucci - avevano contribuito ad abbattere le cause di lavoro sui contratti a termine, passate da oltre 8.000 nel 2012 a 1.250 nel 2016)».


«Brusca retromarcia»​. Il decreto dignità «pur perseguendo obiettivi condivisibili» rende «più incerto e imprevedibile il quadro delle regole» per le imprese «disincentivando gli investimenti e limitando la crescita», sottolinea Panucci. Per le imprese occorre «evitare brusche retromarce sui processi di riforma avviati» e vanno approvati «alcuni correttivi», che intervengano sulle causali per i contratti a termine e sulle norme ora «punitive e poco chiare» sulle delocalizzazioni

Nel dettaglio Confindustria chiede di cancellare le causali «almeno fino a 24 mesi», che sono «il punto più critico, aumentano il contenzioso e non sono una vera tutela per il lavoratore» e di «chiarire la natura non incrementale dell'aumento di 0,5 punti percentuali del contributo addizionale per ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, evitando così un incremento irragionevole e sproporzionato dei costi a carico dei datori di lavoro». Vanno poi riviste le norme in materia di somministrazione, «esonerando il contratto a tempo determinato tra l'agenzia per il lavoro e il lavoratore dall'indicazione delle causali, nonché dalla disciplina degli intervalli temporali tra la stipulazione di un contratto a tempo determinato e il successivo». Panucci sottolinea anche che il raddoppio dell'indennità in caso di licenziamenti illegittimi «rischia di scoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato» oltre a «non trovare riscontro sul piano comparato» visto che quello minimo (4 mesi) «è quadruplo rispetto a quello di Francia, Germania e Spagna; mentre l'indennizzo massimo (24 mesi) è superiore a quelli di Francia (20 mesi) e Germania (18 mesi)».

Contratti a tempo nella media Ue. «Il confronto internazionale mostra che l'incidenza del lavoro temporaneo in Italia (16,4% del totale dell'occupazione dipendente nel primo trimestre 2018) è in linea con il dato medio dell'Eurozona (16,3%), come lo è anche il tasso di transizione a 12 mesi dai contratti a termine ai contratti a tempo indeterminato (pari a circa il 20%)».

I dati «non appaiono corroborare quei «fenomeni di crescente precarizzazione in ambito lavorativo» che le modifiche contenute nel Decreto Dignità intendono contrastare. Panucci ha osservato comunque che «è vero che che il tasso di transizione è più basso che in passato (era quasi il 30% nell'immediato pre-crisi) e al di sotto di quello tedesco (30,3%)». Ma «l'unica strada per migliorare le transizioni è agire sul costo del lavoro per il tempo indeterminato, sul cuneo fiscale, i dati mostrano che quando c'è una riduzione netta le imprese preferiscono questa forma di lavoro».

Voucher. «La sola abolizione dei voucher sembrerebbe spiegare una quota consistente, attorno al 15%, dell'aumento del lavoro a termine intervenuto dal secondo trimestre 2017», spiega inoltre Panucci sottolineando che non va imputata allo strumento del contratto a termine la «precarizzazione del mercato del lavoro» ma a «molteplici fattori, sia economici sia normativi» a partire appunto dallo stop ai voucher, da un aumento «fisiologico» in una fase di ripresa economica del suo utilizzo, al cambiamento dei settori, (100mila su 500mila in più secondo l'Arel sono attribuibili ai servizi, commercio e servizi alla persona). I dati, insomma, «non sembrano supportare la preoccupazione di un aumento della precarietà del lavoro legata a comportamenti opportunistici da parte delle imprese. Al contrario, la quota di aumento del lavoro temporaneo spiegato dalla corrispondente riduzione di collaborazioni e lavoro accessorio è verosimilmente associata a una diminuzione della precarietà».

Ultimo aggiornamento: 19 Luglio, 19:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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