Un figlio e niente più.
L’emergenza
Perché, è convinta la ministra, questa è davvero l’emergenza delle emergenze. «La denatalità non è solo un problema immediato di sostenibilità sociale, ma anche di tutela del territorio, di spopolamento delle aree interne, di perdita del nostro patrimonio». Come fermare il declino? Le culle vuote sono anche una questione di egoismo sociale? «Non parlerei di egoismo, ma di cambiamento», aggiunge la ministra. «Il paradosso demografico è che in un Paese che sta meglio diminuisce la natalità. Per le donne ci sono nuove opportunità e non si può chiedere loro di rinunciarvi per i figli, i due aspetti della vita devono andare insieme. Prima la maternità era un mito anche retorico, adesso vorrei tornare a darle un valore sociale, tanti studi hanno dimostrato che le competenze acquisite accudendo i figli si possono trasferire poi sul lavoro».
Ma il ritorno tra i colleghi, dopo il parto e l’allattamento, è un momento delicatissimo, troppe volte frustrante. «Le donne non devono essere in nessun modo discriminate ed escluse, soprattutto in quel momento. Abbiamo adesso due strumenti importanti: nel Pnrr è stata prevista la certificazione di genere per le imprese, che assicura la qualità, la quantità del lavoro femminile e la conciliazione tra i due ruoli. Siamo arrivati a oltre 500 imprese certificate. E poi c’è il codice di autodisciplina per le imprese, non dà premialità ma serve a produrre cambiamento nelle aziende e vorremmo che fosse più mirato sulla conciliazione tra vita e lavoro. Inoltre, per aiutare le donne a tenere il passo, al rientro dopo la maternità, con il codice proponiamo alle aziende una forma di coaching perché non soffrano nella progressione della carriera, con conseguenze anche sulla pensione».
Le dimissioni
Ancora troppe le dimissioni dopo la nascita del primo figlio. «Il nostro welfare è protettivo nei confronti della maternità, ma disegnato su un modello vecchio. E invece dobbiamo aggiornarlo sui nuovi bisogni e stili di vita. Un tempo c’era una rete parentale intorno alle donne, le famiglie più larghe, la mamma, la zia. Noi vogliamo che questa rete venga ricostruita attraverso i servizi sociali. Per questo abbiamo pensato alla figura dell’assistente materna. Non si tratta di una figura sanitaria - ha spiegato la ministra - è una persona che può venire a domicilio e dare una mano alle madri e alleviare quel senso di solitudine che a volte può anche dare origine a situazioni di disagio e depressione post partum».
Una sfida complessa, quella della natalità, «non si può sostituire con l’immigrazione perché non è solo questione di numeri ma un problema di vitalità», come ha dichiarato la ministra Roccella al «‘SudeFuturì». «Dobbiamo renderci conto che anche gli immigrati che vivono in Italia acquisiscono le nostre abitudini e cioè smettono di fare figli».
E a proposito di famiglie, cosa pensa dello spot Esselunga al centro delle polemiche? «Una bella storia e una buona idea. Non capisco tanto scandalo: racconta una famiglia che si separa e un bambino che vive una condizione di disagio. Molto naturale, molto normale».