Serena Dandini si racconta: «Donne più protagoniste, ma servono ancora le muse»

Giovedì 18 Aprile 2024 di Giambattista Marchetto
Serena Dandini

«Volevo essere Marianne Faithfull». Questo pensava Serena Dandini adolescente mentre, in una grigia aula scolastica, sognava di vivere le gesta trasgressive di quella che aveva eletto come sua musa personale. E oggi con le muse la conduttrice televisiva arriva a farci i conti. Con il suo nuovo libro "La vendetta delle muse" - che verrà presentato domani, 19 aprile, alle 18 a Palazzo Giacomelli a Treviso - guarda in faccia alla scomodità dello status di donna ispiratrice e accompagnatrice del potere dei successi maschili.


Serena Dandini, c'è ancora bisogno di un riconoscimento per le donne?
«Penso di sì. E credo sia importante per me riconoscere le mie muse, quelle che mi hanno aiutata nei momenti difficili.

E anche dare voce alle muse che nella storia hanno rinunciato a mettere in evidenza il proprio talento. Se un tempo le donne non potevano essere parte del mondo accademico né della scena artistica, a posteriori è giusto rivendicare le loro storie».


Oggi il mondo è cambiato?
«Per fortuna molte cose sono cambiate in molti paesi, anche se non in ogni parte del mondo. È però interessante ricordare i percorsi arditi e ardimentosi che sono stati necessari per conquistare uno status differente».


Quando arriverà il momento in cui si potrà smettere con le rivendicazioni?
«Mi auguro che quel momento paradisiaco arrivi presto. Per adesso stiamo dissodando il terreno con storie che avevamo seppellito e che aiutano l'empowerment».


Quali dinamiche esistono nel mondo dello spettacolo e in televisione?
«Nel mondo in cui io ho iniziato a lavorare le donne erano ancora di contorno, ma la situazione è molto cambiata. Oggi sono spesso protagoniste. Invece in molti ambiti, da quello scientifico alla politica, c'è ancora molta strada da fare. Quante donne ci sono a dirigere un giornale? Da un lato c'è da felicitarsi per i grandi passi in avanti compiuti, ma dall'altro non possiamo mollare il colpo».


La politica sembra aver fatto uno scatto in avanti con la prima premier donna.
«Assolutamente sì, anche se si fa chiamare signor Presidente. Se facesse altrimenti, aiuterebbe a comprendere che i ruoli possono essere declinati al femminile. Non è solo una questione di parole, ma anche culturale».


Dunque un gap esiste ancora?
«Penso al mondo scientifico, nel quale spesso le donne sono disincentivate o ritenute meno adatte, anche in Occidente».


Come reagisce il maschio a questa necessità di affermazione?
«Se finora hai avuto tutte le posizioni di potere, ti dà fastidio doverlo spartire con un genere sempre stato considerato inferiore. Per questo le reazioni non sempre sono positive. Poi invece ci sono uomini straordinari, compagni di viaggio meravigliosi perché consapevoli che questo rende la vita più interessante».

Per contrasto, rimane il dramma dei femminicidi.
«Su questo fronte è tutto rimasto uguale. Nel nostro Paese sono diminuiti gli omicidi, ma i femminicidi sono sugli stessi livelli da anni. Per questo bisogna continuare a combattere. Si è fatto molto con le leggi, ma sono difficili da applicare. Di fatto c'è poca prevenzione e serve una rivoluzione culturale che può iniziare solo nelle scuole».
Una consapevolezza che può crescere anche grazie all'ironia? «Sicuramente. Io prediligo lo humour e cerco di approcciare con uno sguardo scanzonato anche i temi più duri».
 

Le donne sono più ironiche?
«Come suggeriva Virginia Woolf, essendo considerate meno autorevoli sono probabilmente più portate per l'ironia».

Ultimo aggiornamento: 17:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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