Dal 4 novembre alle altre, le Feste che danno identità

Sabato 3 Novembre 2018 di Mario Ajello
Dal 4 novembre alle altre, le Feste che danno identità
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«E' pure una bella illusione quella degli anniversari». Lo diceva Giacomo Leopardi nello Zibaldone. E in molti casi è così. Ma non sempre e neppure un po' nel caso della festa del 4 novembre. Che non all'illusione ma alla realtà appartiene: quella di un Paese che, a distanza di 100 anni dalla vittoria nella Grande Guerra, ha bisogno di confermare a se stesso che è capace di vincere e di saper vivere la propria vittoria senza contrizione, che si divide (interventisti contro neutralisti e viceversa, allora) ma poi trova il modo di convivere e di arrivare al successo, che si getta nella storia consapevole di doverci fare i conti con coraggio e pagando un dolorosissimo prezzo.

MORIRE, RINASCERE
Una festa come questa e come quella del 2 giugno, che insieme rappresentano i punti di forza del calendario laico e civile, in quanto unificanti e non divisive, coincide perfettamente con quanto Michail Bachtin, uno dei grandi geni della filosofia e della critica letteraria del 900, a suo tempo osservò: «Le festività laiche sono state legate a eventi di crisi e di svolta nella vita delle società e delle persone. Il morire, il rinascere, l'avvicendarsi e il rinnovarsi sono sempre stati elementi dominanti nella percezione festosa del mondo». Ed è proprio così. In Italia il 4 novembre e il 2 giugno, e poi ci sono anche il 20 settembre (Breccia di Porta Pia) e il 25 aprile su cui grava ancora però il peso ideologico che la rende una festa contrastata, restano nella percezione pubblica dei turning point. Svolte e ricominciamenti all'insegna del bene della patria (parola non più negletta). Quindi sono anniversari che vanno trattati come si deve - il 4 novembre merita di tornare un giorno ufficiale di festività - e occorre accarezzarli, coccolarli, perché legati a momenti difficili da cui si è venuti fuori.

Fungono come doping di ottimismo queste feste: contengono l'ottimismo del saper guardare avanti. Sono un invito a rivolgere lo sguardo al passato che è in realtà sperare nel futuro. Chi le ha riempite di polvere, per poi dire: «Sono feste polverose!», non le ha sapute o volute capire nella loro essenza di modernità. La modernità dei grandi classici di cui una nazione ha bisogno, anche se spesso se ne dimentica. O se ne dimenticava: basti considerare con quanta passione e lucidità, dalla presidenza di Ciampi a quella di Mattarella, si insiste sul valore vivente del 2 giugno, quando la Repubblica ebbe il suo inizio «senza eroici furori», per dirla con Corrado Alvaro.

IL CUORE E LA FANTASIA
E tuttavia, le feste nazionali sono state a lungo bistrattate, e uno dei motivi di questo è che non si è pienamente avuta la progressiva identificazione degli italiani con lo Stato nato dal Risorgimento.

Ora però, nella ridefinizione dell'Europa, l'Italia ha bisogno di esaltare le proprie radici e di trovare così la fiducia in se stessa. C'è da dare retta, ancora di più, a Benedetto Croce, il quale spiegava a proposito dei rituali pubblici: «L'Italia è da tenere viva nelle fantasie e nei cuori. Ma per riuscirci, la nostra storia dev'essere prosaicizzata, cioè va fatta e raccontata in maniera il più possibile realistica e critica». Dunque proviamo a vedere, criticamente, una per una, le principali feste che danno identità.

Ultimo aggiornamento: 17:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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