Dai grandi poeti l'omaggio a Marylin Monroe, un viaggio nel tanka e la dichiarazione d'amore per le madri

Lunedì 26 Giugno 2017 di Renato Minore
Dai grandi poeti l'omaggio a Marylin Monroe, un viaggio nel tanka e la dichiarazione d'amore per le madri
Quasi contemporaneamente sono state pubblicare tre antologie poetiche diverse da altre. Antologie “tematiche”, allestite chiamando a raccolta molti dei maggiori poeti italiani a fianco di poeti esordienti o quasi. La prima come omaggio a Marylin Monroe; la seconda dedicata a un genere per eccellenza della poesia giapponese, il tanka; la terza infine su una figura esemplare e simbolica, la madre, cui tutti i grandi poeti italiani, soprattutto del Novecento, hanno dedicato versi sinceri e profondi. Ma vediamo più da vicino questi libri e le ragioni di scelte così particolari.

La vita di Marylin. Icona pop per eccellenza e mito leggendario del cinema, paradigma di luci e ombre, trionfi e dannazione legate al cosiddetto divismo. Con un po’ di ritardo su quello che sarebbe stato il novantesimo compleanno della Monroe, “Umana troppo umana. Poesie per Marylin Monroe” (“Aragno 26 pagine 15 euro) è un singolare omaggio poetico. Per festeggiarla e anche per “risarcirla” dalla cinica mercificazione cui è stata sottoposta la sua figura, come scrivono i curatori, Fabrizio Cavallaro e Alessandro Fo. Una ghirlanda di liriche, un centinaio composte per l’occasione sulla scia di due famose poesie che alla Monroe dedicarono Dario Bellezza e soprattutto Pier Paolo Pasolini. Ricordate? “Tu sorellina più piccola…/Del pauroso mondo antico e / del pauroso mondo futuro/ era rimasta sola la bellezza, /e tu te la sei portata dietro come /un sorriso obbediente”. La “sorellina più piccola” di Pasolini, e non solo l’immagine-oggetto intrisa di eros, la «magnifica preda» dello sguardo e dei desideri, abbandonata alla fatuità e talora crudeltà dei rotocalchi e del gossip massmediatico. Marylin che vive ben oltre, presenza comune e costante: paradigma e ormai sempre più persona”, attraverso “l’antidoto del futile e del banale, come la poesia” rivive nei versi di tanti: da Alberto Bertoni a Franco Buffoni , a Maria Grazia Calandrone, a Maurizio Cucchi, Roberto Dedier, Sonia Gentili, Valerio Magrelli, Renzo Paris, Elio Pecora, Cetta Petrolio, Gilda Policastro, Silvio Ramat, Davide Rondoni, Francesco Scarabicchi, Luigia Sorrentino, Alberto Toni, Gian Mario Villalta (per ricordare alcuni dei poeti che hanno risposto a Cavallaro e Fo). Parole, pensieri, immagini, testi dolci, dolorosi, misteriosamente ancora attratti dall’”epifania dell’angelo dell’emblema Marylin” a partire “da quel finale di partita tragico”, dal suo corpo nudo non più al centro della scena in quel cinque agosto 1962. Il mito insomma viene come eroso, screpolato dalle parole dei poeti, dietro la luminosità dell’icona c’è la fragilità di Marilyn, corpo morente in una stanza da letto a Los Angeles. O può ancora travestorsi in un destino analogo, fino al suicidio, della sua sosia Kay Kent, come ricorda nel suo omaggio il curatore poeta Alessandro Fo:

«E poi mi chiedono “Che indossa la notte?
Un pijama? Solo una parte?” Ho risposto
“Chanel n. 5”.
Non voglio dire “nuda”,
però è la verità».

Sono parole che non ho mai scordato.
Nulla di lei ho scordato mai. Ho vissuto
Come se fossi lei. Non un sosia,
la gemella piuttosto. E voi sapete
che storie misteriose hanno i gemelli.

Stesso sorriso, stessi movimenti,
la stessa voce (dicevano) – anche il seno,
ora identico al suo, dopo il chirurgo.
Mi hanno coperto d’oro perché fossi

Marilyn qui, Marilyn là, nelle foto
con gonna al vento, o nuda, o sguardo sexy,
come lei platinata, ovviamente,
pur se ero bruna (lo era anche lei).

Però l’oro non basta.
Sono stata lei e anche non-lei.
Nessun pettegolezzo sui miei amori,
scarso interesse per una replicante.

Ho condiviso la sua infelicità.
Ho scelto di morire come lei
(ma ho resistito dodici anni in meno):
barbiturici e alcool,
anche se nel mio caso
non ho lasciato dubbi.

«Caro Dean, ti amo tanto».
Volevo entrare nel mistero così,
non voglio dire «nuda»,
con il nostro Chanel n. 5
appoggiato sul seno.
(Alessandro Fo)



Nella modernità occidentale ha avuto grande fortuna l'haiku, tre soli folgoranti, leggerissimi versi - definiti da Barthes «piccolo ciottolo areato, piccolo blocco di scrittura come un quadrato ideogrammatico». Assai meno conosciuto del tanka che era usato come veicolo di messaggi amorosi o di scambi di pensieri tra amici: a un tanka inviato, spesso scritto su un biglietto speciale, appoggiato a un ventaglio o legato a un ramo fiorito, rispondeva un tanka di ritorno.

Al confronto con la corrosiva brevità dell'haiku, la cui folgorante areazione dona spazio e tempo alla parola, e meno esportato e imitato, il tanka (cinque versi privi di rime: quinario / settenario / quinario / settenario / settenario) è stato a lungo inteso come «wada», espressione classica della poesia nipponica. Ispirandosi a quell’antico rituale, Paolo Lagazzi ha raccolto in antologia (“Cinquanta foglie” Moretti&Vitali, 90 pagine 12 euro) venticinque tanka giapponesi recenti e li ha proposti in traduzione italiana, uno per ciascuno, a venticinque poeti italiani (tra cui Giuseppe Conte , Davide Rondoni, Claudio Damiani, Gabriella Sica, Umberto Fiori, Fabrizio Dall’Aglio, Rosita Copioli, Tommaso Kemeny) invitandoli a rispondere con un loro tanka. A loro volta i tanka italiani sono stati tradotti in giapponese, in modo che possano essere letti sia in Giappone sia in Italia. Il risultato è una singolare antologia a più voci che, illustrata da Satoshi Hirose e Daniela Tomerini, dimostra la “larghezza immaginativa e spirituale del genere sia nella proposta giapponese che nella collettiva risposta italiana”. E anche quella vasta parabola di “figure, timbri colori” con cui i versi dei poeti italiano cercano di occupare lo spazio riservato alle possibilità di conoscenza del tanka che (dice bene Paolo Lagazzi) è un seme discorsivo, un principio di dilatazione della voce, ma sa contenere tutto in una tessitura stringata di accordi «come se l'idea poetica, appena tentata di lanciarsi in una fuga d’immagini, fosse richiusa dalla mano dell'autore al modo di un flessibile ventaglio». Ecco le “proposte” di Rosita Copioli, Giuseppe Conte, Claudio Damiani.




Lo spazio curva
e si curva il tempo.
Tu nube luce
deviata dal sole che è
tempo spazio mutamento.
(Rosita Copioli)


Entra nel mare
e comincia a nuotare
in mezzo alle onde
anche tu sarai luce
che si culla e confonde.
(Giuseppe Conte)

Oggi t’incontro
sul sentiero del bosco
corniolo piccolo,
dalle bacche per terra
ti ho riconosciuto.
(Claudio Damiani)


Infine la terza antologia “La Grande Madre” (Di Felice edizioni, 192 pagine, 20 euro). Sessanta poeti si rivolgono alla propria madre con versi, in buona parte inediti, sinceri e profondi, intessuti di affetto, speranza, rimpianto, a volte anche amarezza e rimorso. All’appello della curatrice Valeria De Felice hanno risposto poeti di molte generazione come Donatella Bisutti, Ferdinando Camon, Daniele Cavicchia, Federica D’Amato, Gianni d’Elia, Claudio Damiani, Tomaso Kemeny, Mario Lunetta, Dante Marianacci, Vito Moretti, Elio Pecora, Giuseppe Rosato, Fabio Scotto, Pasquale Vitagliano. C’è la dolcezza della figura materna che può pervadere la nostra vita, la nostalgia della separazione, il dolore dell’assenza che tutti alla fine siamo destinati a conoscere, quel “mater” che accosta idealmente la figura della donna di oggi alla genitrice latina e alla mater dolorosa della religione e della poesia medioevale. E l’antologia si chiude con una bellissima poesia di Valentino Zeichen, il poeta scomparso un anno fa, “A Evelina, mia madre”.

“Dove saranno finiti
la veduta marina,
il secchiello e la paletta,
e i granelli di sabbia
che l’istantaneo prodigio
tramutò in attimi fuggenti,
travisandoli dal nulla
in un altro nulla?

Dove sarà finito l’ovale
di mia madre
che fu il suo volto e
che il tempo ha reso medaglia?
Perché non mi sfiora più
con le sue labbra,
dove sarà volato quel soffio
che raffreddava la
mia minestrina?

Dove le impronte di quel
lesto e disordinato
sparire delle cose?
In quale prigione di numeri
è rinchiuso il tempo?
Rispondimi! Dolore sapiente,
autorità senza voce. “
(Valentino Zeichen)
Ultimo aggiornamento: 28 Giugno, 19:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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