PADOVA La chitarra di Steve Howe non si perde nel tempo e continua ad illuminare il suo pubblico. Un fraseggio che rievoca tempi andati, ma che mantiene un respiro ed una raffinata potenza lirica. E che anche al Pala Geox ha saputo tenere alta l’attenzione di chi sa apprezzare questa creatività.
È un repertorio che appare davvero senza tempo quello degli Yes che a Padova hanno richiamato un vasto pubblico, per lo più composto da sessantenni, che non smette di seguire con molto affetto e partecipazione le produzioni della band ora completata dal tastierista Geoff Downes, dal cantante Jon Davison, dal bassista Billy Sherwood e dal batterista Jay Shellen. anche il risultato della coesione del gruppo è stato intrigante, basti pensare al non facile ruolo svolto dal cantante Jon Davison, mentre Downes è apparso ancora una volta solido ed efficace.
La musica inizia con “Machine Messiah”, “It’ll Be A Good Day” e “Going For The One”, tanto per capirci, ma è verso la metà del concerto che Howe, dall’alto dei suoi 77 anni, dimostra di che pasta è fatto soprattutto con una riuscita elaborazione dell’immancabile “Don’t Kill The Whale”. Per gli appassionati non è certo una sorpresa, ma ritrovare la band in questo stato di salute, dopo una lunga assenza dai teatri, è comunque un dato incoraggiante.
Sfilano così i brani storici del passato che si dimostrano, come ci aveva confidato Downes nel presentare l’evento padovano, ancora solidi e per certi versi intramontabili.
Howe alterna la frenesia della chitarra elettrica, a percorsi più vicini al folk inglese con la strumento acustico come è nella stessa tradizione discografica della band.
Dopo circa due ore il pala Greox esplode con l’imperdibile “Roundabout”, una della storiche gemme della band inglese, fusione di stili e ritmi nonchè pezzo forte di quel disco, “Fragile”, tappa decisiva di una produzione invidiabile. Correva l’anno 1971.