Alessandra Graziottin
PASSIONI E SOLITUDINI di
Alessandra Graziottin

​Come non cadere nell'autosabotaggio e salvarsi da se stessi

Lunedì 30 Gennaio 2017
Autosabotaggio, o, con anglicismo, auto-handicapparsi (self-handicapping): oggi più di ieri pratichiamo con un certo zelo comportamenti di fatto autodistruttivi, che ci rovinano la vita personale, gli amori, lo studio e il lavoro. Esempi concreti: tutti gli alibi e i comportamenti associati che ci raccontiamo e/o mettiamo in atto per giustificare un fallimento, cercando di salvare il nostro Io dalla vergogna o dall'umiliazione di aver mancato il risultato. «Ecco, succedono sempre tutte a me», «Mi va sempre tutto storto», «Non è colpa mia se». In realtà, dietro a queste frasi genericamente autoassolventi, troviamo comportamenti precisamente autolesivi. Gli studiosi del fenomeno distinguono in effetti due forme, spesso confluenti: il raccontarsi l'autosabotaggio (claimed self-handicapping, Csh), in cui un soggetto parla di condizioni che bloccano le sue performance a scuola, nell'amore, nei rapporti umani, nel lavoro per farsene un alibi, un'autogiustificazione. Oppure il mettere in atto comportamenti autosabotanti (behavioral self-handicapping, BSH), obiettivabili anche da terzi, come i genitori, gli amici, gli insegnanti.

Spesso l'autosabotaggio peggiora i disturbi dell'attenzione e della concentrazione, minando la capacità di apprendere, fin dai primi anni di scuola. Ed è favorito e consolidato da due pensieri validanti altrettanto pericolosi: «Si vede che doveva succedere!», dove diamo all'errore un valore cosmico-esistenziale, come se fosse intervenuta una volontà superiore; e il «Poverino/a, non è colpa sua», dell'insegnante, degli amici, degli allenatori, validazione negativa in cui purtroppo eccellono troppi genitori d'oggi.

Qualcuno inciampa nell'autosabotaggio e nell'autolesionismo saltuariamente. Molti lo fanno d'abitudine. I giovani che già hanno praticato il self-handicapping confluiscono poi nel grande gruppo di coloro che non studiano, non seguono corsi di formazione e non lavorano, i cosiddetti Neet (Not engaged in education, employment or training). Sono più di due milioni, in Italia.

Come salvarsi da se stessi e dalla propria autodistruttività, più o meno consapevole? Ecco il primo punto: fare un bell'esame di coscienza per capire se stiamo diventando degli autosabotatori. Basta riconsiderare quante volte abbiamo fallito un obiettivo, o abbiamo reso al di sotto delle aspettative e delle possibilità, o ci siamo messi da soli in condizioni molto difficili. E i genitori dovrebbero drizzare le antenne, invece di inserire il disco del poverino, vittima degli insegnanti incapaci.

Secondo, cogliere i segni: la facilità a distrarsi, spesso figlia degenere del fare molte cose contemporaneamente (multitasking), è una causa potente di autolesionismo. Se stai studiando, stacca il cellulare e non navigare su Internet se non per approfondimenti attinenti a quello che stai studiando. Metodo e disciplina sono sicuri alleati delle performance di alto livello nello sport come nella vita.

Terzo: bisogna imparare ad ascoltare e superare le emozioni negative rabbia, irritazione, umiliazione, vergogna che ci assalgono di fronte a un fallimento. D'altra parte, solo se ci assumiamo la nostra responsabilità e comprendiamo le ragioni dell'errore, potremo evitare di ripeterlo.

Quarto: quando si riesce a organizzarsi bene, preparandosi accuratamente, per un obiettivo prioritario che soddisfi, e si ottiene il risultato desiderato con le proprie forze e capacità, è giusto premiarsi e fare di quell'esperienza il paradigma per ripartire con un comportamento più sano e funzionale all'autorealizzazione.

Quinto, e indispensabile per genitori e insegnanti, è essenziale rieducare i nostri figli e allievi (ma anche noi stessi, se siamo degli autosabotatori seriali) ad adottare una sana routine, con metodo e disciplina, per riuscire a realizzare i nostri progetti. Una bella sfida, davvero. Ultimo aggiornamento: 13:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA