Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Vittoria e Abdul, ma Frears non graffia più
Good time: c'è più sugo che carne

Venerdì 27 Ottobre 2017

Ci sono film che sembrano già vecchi ancora prima di vederli. Stephen Frears, in fase prepotentemente calante, si è fatto ammaliare da questo angolo di vita impertinente della regina Vittoria, in adorazione stupefatta di un impiegato indiano, l’Abdul del titolo diventato in poco tempo suo servitore, segretario e Maestro spirituale. Una storia d’amicizia bizzarra che la regina d’Inghilterra frequentò nel tardo Ottocento e che fece tremare la Corte Reale di Buckingham Palace, ben prima degli intrighi amorosi che si conobbero nella seconda metà del Novecento.
Infilarsi in un’avventura che vede una delle donne più potenti del mondo affascinarsi in un modo epidermico e vagamente matriarcale con un giovane venuto da lontano, in una “relazione” così sparigliata e interetnica, poteva essere l’ormeggio per una ricarica significativa del suo cinema in panne: in effetti il regista inglese, oggi ultrasettantenne, ha sempre privilegiato questo abbraccio di culture e tradizioni diverse, a cominciare proprio da “My beautiful laundrette” (1985), uno dei suoi primi film e sicuramente quello che ha messo le basi alla sua fama. Ma parliamo di oltre 30 anni fa e oggi lo sguardo si è appannato, convinto che basti qualche tocco di stravaganza per dare senso, curiosità e fascino a una storia, tra il reale e il fiabesco.
Invece non è così, specie se le ricamature della sceneggiatura di Lee Hall e Shrabani Basu si soffermano sugli aspetti più irriverenti con i toni scanzonati della commedia dei buoni sentimenti, in una narrazione che procede come un sistema perfettamente calibrato per strappare sorrisi, senza intaccare minimamente l’apparato nevralgico coronato (al di là della bonaria infatuazione, scambiata per ribellione al ruolo) e il razzismo nemmeno strisciante della corte. Va da sé che Frears cerchi i toni morbidi, un romanzare così tiepidamente illustrativo e lo scatto d’ironia, puntando quasi tutto sulla eccentricità attoriale della grande Judi Dench. Ma questa “commercializzazione” dell’evento ridotto a mero resoconto per anziane signore guasta tutta l’operazione: siamo distantissimi, per dire, dall’acre riverbero di “The Queen” e ancora di più dal calvario doloroso di una madre in “Philomena”, quest’ultimo ancora con la Dench in campo e che probabilmente è stato il faro evidente per un tentativo di bissare il successo, non solo popolare. Purtroppo stavolta il fragile sorriso si spegne nell’abbondanza della leggiadria e forse manca anche una storia potente e crudele come in precedenza.
Presentato fuori concorso all’ultima Mostra veneziana, “Vittoria & Abdul” segna in definitiva la vana speranza di fare centro con un’ulteriore strana coppia, ma il cinema che ne esce è più imbalsamato che divertente, più retorico che graffiante, dove anche la bravura di Judi Dench si dimostra sproporzionata a un’architettura che mostra fondamenta molli.
Stelle: 2


GOOD TIME ARRIVA FUORI ORARIO - Dopo un colpo in banca mal riuscito, Connie cerca di liberare il fratello Nick, affetto da autismo, dall’ospedale dove è stato ricoverato dal carcere per un pestaggio subìto dopo l’arresto. Inizia così una lunga odissea notturna sulle strade di New York, rincorsi dalla polizia. L’atteso film di Ben e Joshua Safdie, la nuova coppia di fratelli statunitensi entrambi poco più che trentenni, rimastica attraverso folgorazioni visive, scatti adrenalinici e un senso inalienabile di disperazione, tutte le suggestioni notturne di tanto cinema americano e certamente non annoia.
Ma i due badano soprattutto allo stupore della forma: le atmosfere aggiornate allo sguardo d’oggi sono coinvolgenti, tuttavia la materia sfuma dentro l’apparenza di luci al neon e un iperrealismo frenetico. E se Robert Pattinson si conferma ormai attore ambizioso e convincente (al pari del regista Ben, che si ritaglia l’altra metà della storia), il protocollo del film giovanile apparentemente innovativo è rispettato, ma c’è più sugo che carne, nonostante il gioco delle identità. Ecco magari rivedere cosette tipo “Collateral” farebbe forse bene. Presentato a Cannes ha fatto scattare l’applauso generoso, ma se dev’essere “fuori orario”, per quanto compiaciuto, non sia così troppo calcolato.
Stelle: 3


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