Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Visages, Villages: Varda miglior film dell'anno
Transit e ROMA sul podio, due italiani tra i 10

Venerdì 28 Dicembre 2018
Nonostante molti insistano a dire che non è stata una grande annata cinematografica, a rileggere l’elenco dei film, uno dietro l’altro, si direbbe che l’idea è abbastanza sballata. Un anno vissuto tra le polemiche sulla contrapposizione quasi talebanica tra i film da vedere in sala e quelli direttamente sulle piattaforme come Netflix, Amazon eccetera, fonte di accese polemiche che hanno investito anche i festival più celebri al mondo, da Cannes a Venezia hanno comunque consegnato un'interessante raccolta di titoli. Ecco la mia classifica 2018 dei film migliori, riservata comunque solo a opere uscite in sala.

1VISAGES, VILLAGES (Agnès Varda e JR) – Il film dell’anno è un’opera particolare, che si distacca da una forma narrativa classica, tra il documentario e un’esperienza visiva soave e leggera, intelligente e sorprendente. La firmano una regista giovanissima francese sulla soglia dei 90 anni e un artista polivalente noto per la tecnica del collage fotografico. Un tour artistico, culturale, politico e ludico attraverso la Francia, con una poetica del “vero” mai convenzionale, un cinema estremamente libero, dove passione, sacrificio, precarietà, murales, luoghi di lavoro, siti naturali si saldano in una grazia che commuove, in un percorso zingaro. Bellissimo lasciarsi catturare da tanta energia vitale.

2 LA DONNA DELLO SCRITTORE (Christian Petzold) – La grande effervescenza del cinema tedesco, magari non così brillante come negli anni ’70, ma senza dubbio degna di attenzione, passa anche per questo notevole film che rielabora un romanzo di Anna Seghers, su un uomo in fuga dai tedeschi nella II Guerra Mondiale, trasportandolo a un oggi dove il problema dei migranti è urgente. Sorvolando sul titolo italiano, troppo generico e distante da quel concetto di transito dell’originale, che è appunto “Transit”, il film crea un labirinto di corpi, di storie e di tempo, che va continuamente decrittato. Affascinante e misterioso in un groviglio di sentimenti e drammi, un melò che cattura anche nello spaesamento di una narrazione scompaginata.

3 ROMA (Alfonso Cuarón) – Leone d’oro indiscutibile a Venezia, fonte di polemiche accese per via della sua natura netflixiana, prodotto, scritto, diretto, fotografato e montato dal regista messicano, è anche il suo commovente diario fanciullesco, quando abitava nel quartiere di Città del Messico da cui il titolo del film, vezzosamente proposto tutto maiuscolo. Concentrato sulla figura della domestica Cleo, in bianco e nero, recitato perlopiù da attori non professionisti, è un inno alle donne abbandonate dagli uomini, dove le vicende familiari si intersecano a quelle di un intero Paese.  Esteticamente elegante nel suo ricorrente uso di panoramiche e carrelli, ordinato in piani-sequenza che dilatano lo spazio e il tempo, con scene di massa entusiasmanti che contribuiscono a dare un significato fortemente politico al racconto. Tra le sequenze meravigliose, quella del salvataggio in mare è di una intensità insostenibile.
4 IL FILO NASCOSTO (Paul Thomas Anderson) – La conferma di un grande regista, la firma su un melò di morbosità glaciale. Il processo della confezione degli abiti segue quella dei sentimenti, tra echi hitchcockiani, dove il dominio maschile è solo apparenza e l’austerità della messa in scena inchioda un singolare triangolo affettivo in una sartoria di sublime eleganza. Magnifico Daniel Day-Lewis, che sopravvive solo se cosciente della propria morte.
5 READY PLAYER ONE / IL POST (Steven Spielberg) – Due film, un solo regista. Spielberg sintetizza il suo doppiarsi, matrice indiscussa del suo cinema, ponendo la parola definitiva a quell’immaginario fantascientifico che lui stesso creò negli anni ‘80 e rimarcando ancora una volta il suo impegno civile nella lotta per la libertà di stampa, mai come oggi attuale e necessaria. In pochi mesi il meglio di entrambi i lati di una creatività artistica inesauribile.
6 MENOCCHIO (Alberto Fasulo) – Se la libertà di stampa fa paura, quella dell’individuo ancora di più. Il friulano Fasulo ci porta nel Medioevo di un mugnaio condannato al rogo per eresia. Un film politico di tenebrosa bellezza, girato con sola illuminazione naturale, pittoricamente vicino a Rembrandt e Caravaggio: la ribellione di un uomo fiero è decantata laicamente tra le mura disumane di una prigione. La Chiesa è fatta di uomini, che invocano il loro Dio come assoluto e crudele.
7 STILL RECORDING (Saeed Al Batal e Ghiath Ayoub) – La guerra siriana vissuta nel suo cuore mortale. Due studenti girano per 4 anni il dramma di un conflitto terrificante, la nuda visione reale della distruzione devastante. Politico e teorico sulla visione che continua anche quando nessuno più riprende (molti operatori sono morti colpiti durante le sparatorie e sotto le bombe), da cui il titolo, è l’agghiacciante manifesto di un massacro, che i reportage giornalistici riescono solo in parte a descrivere.
8 UN AFFARE DI FAMIGIA (Hirokazu Kore-eda) -  C’è una spietatezza in questo film, Palma d’oro a Cannes, che fa sbandare le nostre convinzioni sulla famiglia,  teatro preferito dal regista giapponese. Mostra come sia tutt’altro che condannabile far finta di essere una famiglia, anche quando questa è costruita su necessità e un amore pronto a essere comunque rinnegato. Un racconto di solitudini di grandi e piccoli personaggi, dove l’ingresso delle istituzioni sociali e politiche procura solo danni.
9 DOGMAN (Matteo Garrone) – Atmosfere cupe, rapporti malsani, dissolvenze di umanità: il ritorno al noir di Garrone parla di dipendenze psicologiche, affetti negati, vendette feroci. Tratto dal caso del Canaro della Magliana, sottrae ogni riferimento horror e ne fa uno scenario di solitudini tragiche. Marcello Fonte è l’attore rivelazione dell’anno, premiato a Cannes e agli Efa.
10 CHIAMAMI COL TUO NOME (Luca Guadagnino) – La scoperta di sé, della propria sessualità. Guadagnino forse trova il film che converte molti dei suoi detrattori con una storia d’amore di finezza psicologica, sorretta dalle note soffici e malinconiche di Sufjan Stevens. Un film bello da far male, tra Bertolucci e Techiné. Il tempo marchia la carne e lo spirito, i corpi vibrano in una passione inaspettata.

 
  Ultimo aggiornamento: 02-01-2019 08:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA