Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

The Hateful eight: campo, controcampo
e controwestern di Tarantino

Mercoledì 3 Febbraio 2016

RECENSIONI
. Una diligenza è già western. Se poi avanza in campo lungo durante un maestoso piano sequenza, avviato da un primo piano su un crocifisso di legno (ah, la morte…) in mezzo a una prateria sconfinata sommersa dalla neve, capiamo che il viaggio sarà tutt’altro che semplice. Ma verso Red Rock non ci saranno indiani come in “Ombre rosse”, primo immediato riferimento di “The hateful eight” (l’aggiungersi dei passeggeri, la fermata al ranch): stavolta il pericolo non è esterno. Lo splendore dell’Ultra Panavision 70mm filmato da Robert Richardson (che solo in tre cinema si potrà vedere in Italia, in una versione tra l’altro più lunga di 20’, che ha già scatenato battaglie “ideologiche”) spalanca la visione dell’immenso Wyoming, ma è un abbaglio, il primo dei tanti che percorrono il film, che narra la storia di Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh), destinata alla forca, circondata da una sarabanda maschile di personaggi loschi e indecifrabili.
Sequestrato per quasi tutta l’enorme durata (più o meno 3 ore, a seconda della versione) all’interno del ranch, dove i proprietari sono curiosamente assenti, il film sembra contraddire quasi sarcasticamente l’impiego del “panoramico 2.75:1”, ma in realtà espande gli spazi ristretti del kammerspiel in una dinamica teatrale veemente che si sbarazza della geometria claustrale, grazie anche all’uso magistrale del campo/controcampo, destrutturando simbolicamente anche la storia e la Storia, come in “Bastardi” e in “Django”.
Il controwestern di Tarantino contiene ovviamente tutti i vezzi, i difetti e le intuizioni geniali del regista, ma forse solo come in “Jackie Brown” il regista sembra meno schiavo del giochino, spesso ingombrante se non fastidioso, dei rimandi e delle citazioni: anche qui non mancano, dal già citato John Ford al Carpenter de “La cosa”, dalla Agatha Christie di “Trappola per topi” al se stesso de “Le iene”, ma vivono in una dimensione di cinema totalizzante, che alla fine esplode nell’horror pazzesco dell’ultima ora. In un tripudio di doppiogiochisti e veri bastardi (chi è in realtà chi?), di fulminanti agnizioni, Tarantino alza l’asticella del contenuto del suo film, tornando a riflettere sull’America di oggi, figlia dell’America di ieri (quella del film), appena uscita dalla guerra di Secessione, denunciando i prodomi di una Nazione dannatamente disturbata.
Dominato da bianchi e rossi (neve e sangue), “The hateful eight” (gioco intraducibile), dove anche il numero 8 (di film e di personaggi – cast perfetto) contiene ulteriori ambiguità, si chiude con un solenne dolly, mentre qualcuno legge una lettera di Abraham Lincoln, ennesimo probabile sberleffo, e fuori impazza la bufera. Grande cinema, grande Tarantino, ferocissimo e politico come non mai.

Voto: 4/5

REMEMBER: IL MALE SOLO UN ESCAMOTAGE - 
Un 90enne ebreo internato ad Auschwitz (il solito prodigioso Christopher Plummer), affetto da demenza senile, viene incaricato da un ex compagno di prigionia di scovare il loro aguzzino nel campo della morte. Il viaggio alla ricerca dei possibili candidati regalerà molte scoperte, l’ultima delle quali sconvolgente. “Remember” sembra avere molto per colpire al cuore. A cominciare dal tema nobile. Peccato che a un certo punto la sensazione sia che tale tema diventi pretestuoso, con il film verso un’unica direzione: quella di arrivare a una clamorosa scena finale, non svelabile, anche se a metà percorso, un passaggio (evidente) la suggerisce. Atom Egoyan resta nella sua parabola discendente, nonostante un’ora il film abbia una spinta emotiva non indifferente. Ma tante leggerezze narrative svelano come l’unico scopo non sia quello di ragionare per l’ennesima volta sul Male e sulla memoria, ma scioccare il pubblico con la soluzione più stupefacente. Ottimo comunque il cast: oltre a Plummer, bravissimi Martin Landau, Dean Norris, Bruno Ganz. 

Voto: 2/5
  Ultimo aggiornamento: 05-02-2016 15:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA