Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Spike Lee, il KKK e l'America di ieri e oggi
Ma la sorpresa è il calvario doloroso di "Girl"

Giovedì 27 Settembre 2018

Al cinema c’è un gran voglia in questi ultimi tempi di raccontare il passato, che può essere remoto ma anche non troppo lontano, per comprendere meglio il presente: un’urgenza che tocca tasti sinistri, perché l’atmosfera che si percepisce oggi in Occidente, dagli Stati Uniti all’Europa, sembra riecheggiare situazioni già vissute, specialmente collegate a questa ondata di intolleranza che diventa ogni giorno sempre più palpabile, nei confronti di ogni diversità in generale. Il problema razziale è diventato sempre più esposto (a Venezia è appena passato l’ultimo film di Roberto Minervini) e non era quindi imprevedibile che un regista come Spike Lee ritornasse a occuparsene, anche se da tempo il vigore e anche l’ironia non hanno più la stessa forza.
Siamo di nuovo negli anni ’60-‘70 americani (gli stessi di “Detroit” della Bigelow). A Colorado Springs. Il detective afroamericano Ron Stallworth (John David Washington) è il primo poliziotto nero della città, che sente l’obbligo di superare la diffidenza con la quale viene accolto nel dipartimento. Inviato a seguire, in incognito, il comizio del leader afroamericano Stokely Charmichael, ne resta affascinato, anche per via della leader delle Black Panthers, Patrice. Da qui sceglie indubbiamente la strada più difficile: infiltrarsi nel KKK, fingendosi estremista, per cercare di smascherare la sua indole violenta. Solo che essendo nero non lo può fare e quindi si limita a contattare il gruppo per telefono, delegando il collega ebreo Flip Zimmerman (Adam Driver) per gli incontri di persona.
Tratto dal libro dello stesso Ron Stallworth, “BlacKkKlansman” (con quelle tre K al centro del titolo) diventa quasi un buddy movie dai toni sarcastici, con la coppia in grado di tenere testa al segreto. Siamo dalle parti di radici coeniane, con battute pungenti e una tensione sempre pronta a esplodere (nel nucleo di polizia, all’esterno i ruoli vengono scambiati). Lee mostra un’America ieri come oggi incapace di reggere il diritto all’uguaglianza: così il racconto di Harry Belafonte è struggente, gli inserti nel finale degli ultimi incidenti contro i black emozionano in un sincopato montaggio, le sparate di Trump al giorno d’oggi sono l’inequivocabile rimando al passato e insieme danno una sterzata al film che scivola bruscamente dalla commedia al dramma.
Gran Premio della Giuria a Cannes, è un film politico che tuttavia non sempre riesce a trovare l’equilibrio tra le parti, tra l’affabulazione esplosiva di una sceneggiatura un po’ a spanne e la necessità di mettere in ordine supremazia bianca e potere nero, David W. Griffith e la blaxploitation alla Shaft, David Duke e il linciaggio di Jesse Washington, fino a Charlottesville non facendo sempre la cosa giusta. Ma è un film importante, oggi più che mai.
Stelle: 3



GIRL - L’adolescente Lara, che vive col padre e un fratello minore, è imprigionata nel corpo maschile di Victor. Il suo desiderio è potersi operare per diventare donna a tutti gli effetti. Le sue giornate trascorrono in un’assorta, ansiosa attesa che questo evento si compia: si sente estranea alla società, tra il timore di essere costantemente giudicata e l’impossibilità di esprimere i suoi sentimenti, anche negli aspetti più banali. Nel frattempo inizia un corso a una scuola di danza, un’ulteriore sfida di riscatto e speranza, che però si rileva un altro esercizio di sofferenza, non tanto per la durezza degli allenamenti, quanto per il ritardo con il quale sono stati iniziati, con effetti dolorosi ai piedi.
L’esordiente regista belga Lukas Dhont, 27 anni (meditiamoci su in Italia), premiato a Cannes con la Caméra d’Or per la miglior opera prima, firma un sorprendente “coming of age”, un film di rara sensibilità (anche nella scena più disturbante) capace di descrivere il calvario di un corpo e di un’anima sospeso in una frontiera drammatica tra l’essere e il non essere. Mai patetico, trova nell’esibizione della danza l’ulteriore scandaglio di una vita in continua tensione. Ammirevole la prova attoriale del giovane Victor Polster, anch’egli premiato sulla Croisette. 
Stelle: 3½​

LA CASA DEI LIBRI - Una giovane vedova, che ha perso il marito in guerra, arriva in un piccolo villaggio sul mare, nell’Inghilterra anni ’50, e apre una libreria. Ma la sua libertà di pensiero e le sue scelte editoriali, soprattutto “Lolita”, si scontrano con la visione bigotta di molti abitanti, guidati dall’eccentrica Mrs Gamart. In suo aiuto arriveranno una bambina e un anziano lettore. “La casa dei libri” è un film di rara piattezza visiva, nel quale la regista spagnola Isabel Coixet spreca i vari temi, dalla forza della letteratura allo scontro ideologico sulla cultura. Grigio e opaco dall’inizio alla fine, si salva forse solo il finale. Ma arrivarci è un problema.
Stelle: 1½

  Ultimo aggiornamento: 23:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA