Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Sole alto o acqua: è comunque
bel tempo nel cielo del cinema

Sabato 30 Aprile 2016

C’è molto della tragedia scespiriana in questo trittico di storie d’amore e guerra in piena tragedia balcanica, dove l’impossibilità di amarsi sconfina nell’odio strisciante che cova prima, durante e dopo la battaglia, come se il teatro della lotta non si limitasse al “visibile”, ma ci imponesse l’obbligo di un’indagine meno frettolosa, capace di cogliere la Storia e la Cultura di un popolo, di una regione, di una conflittualità senza mediazioni stabili.
Ecco perché Dalibor Matanić ci porta dentro “Sole alto”, film premiato a Cannes l’anno scorso in “Un certain regard” e apripista dell’ultimo Trieste Film Festival, attraverso tre decadi diverse, con storie che si riverberano l’una sull’altra, avvertendo lo spettatore che modificando l’ordine degli avvenimenti, il prodotto non cambia o al massimo mutano solo le apparenze: non a caso le tre storie sono interpretate sempre dagli stessi attori, Tihana Lazović e Goran Marković, dove lui è croato e lei serba.
Questi eterni Romeo e Giulietta diventano dunque il paradigma di una relazione amorosa, quindi sociale e perfino politica, in cerca di una pace sicura. Ma la risposta non è così ottimista. Gli anni sono il 1991, 2001 e 2011: l’inizio della mattanza, subito dopo la sua fine e a una distanza ancora calda e forse questo gioco delle tre carte diventa nel film un’elaborazione un po’ meccanica delle passioni e dei lutti, dove la regia di Matanić fatica a essere sempre esplorativa in modo originale.
Ci sono sicuramente momenti molto intensi: l’uccisione al posto di blocco del primo episodio, scaturito anche in circostanze fortuite; e soprattutto tutto il clima di tensione erotica che si riesce a respirare nel secondo blocco (che è anche il migliore). Ma ad esempio lo scandaglio dei giorni attuali risulta essere un po’ debole, disperdendosi in ritualità risapute. Qui Matanić si dimostra ancora un po’ acerbo rispetto ad altri autori, che hanno cercato, anche in modo controverso, domande e risposte al cuore di una guerra imperdonabile: si pensi a Kusturica e Tanović, recentemente premiato alla Berlinale con “Death in Sarajevo”, una versione più investigativa d’inchiesta rispetto a “Sole alto” su ciò che resta di questa furiosa pagina slava, ma anche una bolsa rilettura stanziale di “Bobby”, il film di Emilio Estevez sulla morte di Kennedy, girato interamente nell’albergo dove fu assassinato il candidato alla presidenza e fratello di John. 
In definitiva “Sole alto”, distribuito dalla friulana Tucker, resta un buon esempio di cinema impegnato alla ricerca non tanto di una verità, ma di un perché. Non troppo originale, ma onesto e rispettabile.
Voto: 3/5

LA MEMORIA DELL'ACQUA: L'UOMO NON DIMENTICHI
- Siamo alle solite. “La memoria dell’acqua” è un titolo generico, anche se almeno stavolta un po’ significato per fortuna ce l’ha. L’originale “El botón del nácar” (“Il bottone di madreperla”) invece indica esattamente un oggetto, all’apparenza insignificante, che diventa fondamentale nella storia, ma reputato evidentemente poco allettante. 
Il cileno Patricio Guzmán invece firma un documentario originale e ricco di idee, raccontando la Storia tormentata del suo Paese, partendo dalla preistoria e dall’astrofisica, attraverso l’eccidio dei nativi da parte dei colonizzatori bianchi fino al regime sanguinario di Pinochet del nostro secolo. L’audacia degli snodi storico-scientifici appaga lo sguardo (splendida la fotografia) e la mente: mai dimenticare. Bellissimo. E atroce.
Voto: 4/5

LA FORESTA DEI SOGNI: IL FLOP DI VAN SANT
- “La foresta dei sogni” è il punto più basso (e sterile) di tutto il cinema di Gus Van Sant. Un inatteso flop, un film che al festival di Cannes non ha lasciato traccia. Persa la moglie, Arthur si reca, dagli Usa, in una foresta nipponica per suicidarsi. Ma qui incontra un giapponese che si è perso: scopriremo solo alla fine chi è veramente. La bella prova di Matthew McConaughey (e con lui Naomi Watts e Ken Watanabe) non salva un film di scrittura debole, esteticamente vecchio (anni ’90), dove anche Pietro Scalia non fa alcuno sforzo al montaggio. Finale tra i fiori. E dire che Van Sant sul “viaggio” di due disperati aveva girato lo splendido “Gerry”. E sulla morte recentemente l’assai migliore “Restless”.
Voto: 1,5/5
  Ultimo aggiornamento: 07-05-2016 09:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA