Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Lavoro, dunque sono: Brizé va alla guerra
Summer e Chesil beach: potenze fragili

Venerdì 16 Novembre 2018


Bisognerebbe che il cinema tornasse a entrare più spesso in fabbrica, al pari della politica (di sinistra) che l’ha praticamente abbandonata: dentro le stanze della crisi più palpabile, dentro la rovente, frenetica agitazione di lotte sindacali per mantenere un posto di lavoro e la relativa sopravvivenza economica, si coglie nella sua appassionata resistenza il fervore necessario per ottenere speranze e diritti.
Stéphane Brizé è un regista francese che meriterebbe maggiore attenzione: siamo di fronte a un autore che non fa l’autore ma lo è sempre, perché la sua rappresentazione ha valori estetici (ed etici, ovviamente) aderenti alla narrazione, non ossessivi come marchio personale, ma diversamente scelti ogni volta a seconda della loro più opportuna necessità. E così dopo “La legge del mercato” ecco arrivare la vibrante vicenda della fabbrica francese Perrin, ma con casa madre adesso in Germania, dove i dirigenti, nonostante un record di profitto e i numerosi sacrifici e rinunce negli ultimi due anni da parte dei dipendenti, ne hanno deciso la chiusura, lasciando a casa ben 1.100 operai. Guidati dal sindacalista Laurent (un monumentale Vincent Lindon, che bissa elevando al cubo la sua interpretazione precedente in “La legge del mercato”), il gruppo attivista si incontra e si scontra con i dirigenti della fabbrica, durante interminabili, estenuanti e soprattutto inutili riunioni, che sfociano anche in azioni di forza e violenza, che conducono nel tempo anche a una rottura interna dei lavoratori, una lotta intestina tra gli irriducibili e le maestranze più disposte ad accordi.
“In guerra” è un film potente, tellurico, coinvolgente, drammaticamente e radicalmente concentrato sul fuoco delle parole, contrapposizioni dialettiche che hanno il frastuono degli spari, il cancello della fabbrica come trincea da difendere.  Brizè costruisce una sconvolgente dimensione documentaristica (una finzione realistica come rare volte si è vista), dalle riunioni accese agli scontri veri e propri (si noti quello più furibondo del ribaltamento dell’auto e il ferimento dei dirigenti dell’azienda), con una composizione dell’immagine che nasce da uno sguardo sulla collettività, posto a una giusta distanza, osservando così l’intero campo di battaglia, come una presenza discreta, che diventa eticamente rilevante nella tragica scena finale, ripresa con pudore teoricamente “da altri” con un cellulare. Alternando le immagini delle riunioni a quelle da reportage giornalistico, Brizé opera anche una riflessione tutt’altro che banale sulla diversità della rappresentazione tra televisione e cinema, dove anche la musica, assordante o malinconica (nei pochissimi istanti di intimità familiare), comunque sempre ossessiva, percuote l’atmosfera tra esplosioni ritmiche e stacchi violenti di silenzio. Un film oggi più che mai necessario.
Stelle: 4

SUMMER: LA MUSICA E LA LENINGRADO ANNI '80
- La storia di Mike Naumenko e Victor Coj, rocker fondamentali nel panorama della musica sovietica diventa più un esercizio di stile, che un approfondimento significativo di un’epoca, dove si cominciava a capire che le cose sarebbero cambiate. Nell’allora Leningrado di inizio anni ’80, la scena rock, contrastata fortemente dal potere sovietico, cercava di trovare le proprie ragioni per affermarsi. In un bianco e nero snobistico, con inserti animati alla Gondry e sprazzi colorati, il regista russo Kirill Serebrennikov, che non aveva troppo convinto con la sua opera precedente “Parola di Dio”, arrestato in Patria con l’accusa di frode (a Cannes nel maggio scorso, infatti, non riuscì ad essere presente), vorrebbe ricostruire l’atmosfera febbricitante di quegli anni, ma ci riesce soltanto in parte.
Rielaborando le biografie di autentiche rockstar locali e indugiando fin troppo su una ricchezza di rimandi musicali, da Lou Reed ai Sex Pistols, dai T. Rex a soprattutto Bowie, in realtà descrive in modo distratto un ménage à trois, dove forse manca davvero una spinta sovversiva, sia delle musiche, sia degli affetti. E soprattutto il dono della sintesi. Perché tutto alla fine scorre, ma restano in superficie solo note sparse.
Stelle: 2½

CHESIL BEACH - IL SEGRETO DI UNA NOTTE: L'IMPOSSIBILITA' DI AMARSI 
- Tratto dal bellissimo romanzo di Ian McEwan (che qui è sceneggiatore, com'era accaduto anche nel recentissimo "The children act", "Chesil beach" tradisce inevitabilmente la forza della parola, descrivendo la prima notte di nozze di due giovani sposi senza quella ritmica febbrile di un racconto a intarsio, delegando, com'era inevitabile, al flashback continuo le motivazioni che portano a una realtà ben diversa da quella progettata da parte della coppia. Un melò sul fallimento di sé e sulla paura della sessualità, che non riesce a far emergere la potenza di storie trattenute e segrete, che Dominic Cook si limita a registrare scolasticamente senza quella sospensione magica dell'azione che il libro comportava. Molto brava Saoirse Ronan.
Stelle:  2½

DON'T FORGET ME - NON DIMENTICARMI: LA VOGLIA DI VIVERE - Tom è una ragazza con gravi disturbi alimentari, depositata dalla famiglia in un istituto di recupero. Conosciuto Neil, un ragazzo problematico con disturbi cognitivi, che se ne va a spasso con una tuba, cerca di trovare l'affetto mancante: torna in famiglia ma viene nuovamente respinta, infine sogna di scappare assieme al ragazzo. Ma le cose non sono così semplici. L'israeliano Ram Nehari firma un commedia delicata sull'inafferrabilità della realtà e sul disagio esistenziale, restando in quella superficie di emozioni, che ne limitano l'interesse. Un cinema dei sentimenti sinceri, ma convenzionale.
Stelle: 2½


  Ultimo aggiornamento: 09:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA