Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

La Forma dell'acqua, la forma del cinema
Del Toro e Pallaoro, favole e drammi

Venerdì 16 Febbraio 2018

Leone d’oro all’ultima Mostra veneziana, “La forma dell’acqua” di Guillermo del Toro (appena annunciata la sua presidenza nella Giuria del Lido 2018) è la consacrazione di un regista che nel tempo ha saputo ritagliarsi la specificità d’autore, attraverso l’esplorazione dei generi, soprattutto horror e fantasy, in una realtà spesso soffocata da tiranni (la Spagna franchista di “La spina del diavolo” e “Il labirinto del fauno”), dove l’infanzia ha viaggiato tra stupori e paure.
Ora con questo ultimo film, candidato tra l’altro a 13 Oscar, sposta il suo sguardo sempre curioso negli anni’ 60 della Guerra fredda tra Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica, portandoci dentro un laboratorio governativo americano, dove una umile donna delle pulizie, condannata al silenzio e alla solitudine perché muta, scopre per caso l’esistenza di un essere mostruoso, che vive nell’acqua, tenuto segregato e nascosto dalle autorità. Affascinata da questo essere spaventoso, Elisa riuscirà non solo a entrare in contatto con la Creatura, ma ad aprirgli nuove speranze di libertà, che metteranno in allarme l’ambiente scientifico e militare.
Riprendendo il mito della Bella e della Bestia, del Toro mette in scena il suo imprescindibile armamentario barocco, declinando ancora una volta il rapporto tra noi e il Diverso, trovando affetto e consolazione in un rapporto straordinario. È sostanzialmente una storia d’amore “La forma dell’acqua”, la più inusuale, la più caritatevole, la più umana. Nell’ambientazione vintage con il disincanto di una nuova Amélie, del Toro ha finalmente una significativa grazia nel filmare questa improbabile avventura e l’aggiunta dell’acqua dona al film una liquidità poetica, fonte di sopravvivenza. L’omaggio sensibile al favoloso mondo del cinema, sposa rimandi e citazioni (“Il mostro della laguna nera”, soprattutto), nell’immancabile dominio dei sogni (non a caso Elisa vive sopra una sala cinematografica); e dalla realtà sa trarre lo spunto per coniugare paure e speranze, rabbia e desideri, con la lotta quotidiana per i diritti civili: l’amica, collega Zelda è infatti un’afroamericana in lotta perenne con la società, e lo ancora di più il vicino di casa Gilles, omosessuale in un ambiente lavorativo ostile.
Non tutto funziona a cominciare da uno sfondo storico che non ha la stessa forza del “Fauno e del “Diavolo”, ma lo stupore delle immagini è contagioso e la danza acquatica tra i due Diversi è lo spot meraviglia per una vita migliore. Tra musical e noir, commedia e horror, la mitologia si appropria delle istanze favolistiche di un regista che stavolta si abbandona al racconto con soavità, dove Sally Hawkins è un’Elisa dal candore stupefatto e il cuore nobile, e il consueto Michael Shannon sopra le righe è il paladino militare di un mondo che non può più resistere a chi non vuole essere più imprigionato, stanco di vivere di soli sogni.
Stelle: 3½

​HANNAH: DOLORE E MISTERI
- Fedele al suo stile geometrico e gelido, dal minimalismo narrativo e dalla sospensione degli accadimenti, il regista trentino-statunitense Andrea Pallaoro disegna con “Hannah”, la storia abbastanza oscura e che resterà tale di una signora anziana, il cui marito finisce in carcere. La presenza di bambini farebbe pensare a delle molestie, ma per il regista, come avvenne già nella sua opera prima “Medeas”, l’interesse è spostato sul calvario senile di questa donna, dove le possibili crudeltà del marito si riverberano in una serie di ostracismi familiari (la scena del compleanno del nipote) e sociali (il mancato rinnovo della tessera), come se a pagare fosse lei di riflesso.Chiuso in interni mai spaziosi (ogni inquadratura ha una porzione negata da una porta o un ostacolo), psicologicamente claustrofobico, il film di Pallaoro conferma un regista coerente e rigoroso, abile giocatore col mistero (non è chiaro nemmeno dove il film si svolga), per alcuni forse un po’ noioso, mai comunque banale. Un cinema autoriale che richiese pazienza e sforzo, ma sa ricompensare chi lo segue. E la Rampling, premiata a Venezia come miglior attrice, ha coraggio da vendere mostrandosi nuda a 71 anni, esibendo il suo corpo come icona di una sofferenza interiore.
Stelle: 2½
  Ultimo aggiornamento: 15:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA