Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Berlinale 66/2 Corpi martoriati
da Lampedusa al Giappone

Domenica 14 Febbraio 2016


La Berlinale entra nel vivo: arriva l’unico film italiano, che piace con qualche riserva. Dalla Francia al Giappone realtà familiari pronte a disgregarsi, tra troppi libri filosofici e troppe persone scomparse. E corpi martoriati ovunque.
FUOCOAMMARE di Gianfranco Rosi (Concorso) - Gianfranco Rosi porta a Berlino “Fuocoammare” (che poi è il titolo di una canzone), girato a Lampedusa, riprendendo squarci di vita quotidiana (soprattutto attraverso le esperienze di Samuele, un ragazzo di 12 anni) e l’ormai inarrestabile viavai di barconi e disperati, alcuni dei quali arrivano già cadaveri.  Il film può senza dubbio avere delle chances per un premio finale (la Berlinale solitamente è molto attenta alle tematiche sociali e politiche) e d’altronde alcuni elementi caratterizzanti sono significativi: dall’isola (che in realtà è il personaggio più importante), “luogo” esemplare per eccellenza del flusso migratorio, allo sguardo “pigro” del ragazzo (metafora lampante di chi non sa guardare),  fino alla separazione dei mondi (noi – gli isolani; loro – i migranti) che nel film non si incontrano mai (a parte le forze mediche, chiamati ovviamente a prestare soccorso). In questa chiave il film è decisamente politico, anche quando mostra la cura nelle cose di ogni giorno (far da mangiare, fare i letti, studiare l’inglese), quando al massimo si dice: povere anime. Forse un accenno alle istituzioni e alla politica ci poteva essere, ma l'assenza può essere letta come una denuncia. Di contro c’è una tendenza a enfatizzare il dolore e la morte (la lacrima di sangue che indugia sul volto, lo sconforto sui visi, i cadaveri fatti scivolare dalla nave) e una gigioneria, già presente in “Sacro GRA”,  il suo film meno bello, nonostante il Leone d’oro vinto: in Fuocoammare” le azioni di Samuele (la pastasciutta, le lezioni di inglese, la visita medica) strappano sicure risate, dando un tono di scanzonata commedia, un po' troppo pensata per un documentario, anche se ormai non esistono più barriere: la sensazione è che Rosi abbia abbandonato il suo rigore iniziale, per un cinema che si avvicini al grande pubblico, con siparietti mirati. Voto: 6.
L’AVENIR di Mia Hansen-Løve (Concorso) –
Nathalie (Isabella Huppert, al solito grandiosa) insegna filosofia in una scuola superiore di Parigi: ha un marito, due figli e soprattutto una madre che non le lascia respiro. In pochi attimi i figli lasciano la casa, il marito l’abbandona per un’altra donna e la mamma muore. Rimasta sola, questa signora borghese e sostanzialmente conservatrice allaccia un’amicizia (e forse anche una sotterranea passione, condivisa) con un suo ex allievo, che ha scelto di vivere in una specie di comune in un ambiente bucolico. C’è molto Assayas, nel modo di raccontare personaggi, storie e la vita, ma la regista parigina conferma uno sguardo tutt’altro che banale sulla realtà di oggi e sullo scontro generazionale, affidando a sobri quadretti la dinamica degli avvenimenti. Certo ci sono un po’ troppi libri e una volontà di dimostrare la propria erudizione (molto francese), anche se funzionale. Voto: 6,5.
CREEPY di Kiyoshi Kurosawa (Berlinale Special) –
Un detective conosce i nuovi vicini di casa, alquanto curiosi, e nel frattempo riprende la caccia a uno spietato serial-killer, i cui delitti sono ancora irrisolti, senza contare che altre persone sono scomparse senza lasciare traccia. Esemplare ricostruzione di Kiyoshi Kurosawa, da una prima parte quasi didatticamente geometrica, fino all’esplosione horror finale. Un’accurata lettura sull’ambiguità della realtà giapponese, dell’apparenza ingannevole di ogni situazione e del torbido che nasconde il Male, con una botola-buco nero che inghiotte tutto. Formidabile nelle dinamiche e nei contenuti, è il suo film migliore da tanto tempo. Voto: 8.
  Ultimo aggiornamento: 26-11-2016 14:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA