Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

68 Berlinale, giorno 2. Sentirsi estranei
da Leningrado a Marsiglia, in ogni epoca

Sabato 17 Febbraio 2018
THE HAPPY PRINCE di Rupert Everett (Special) – Il debutto alla regia dell’allora attore sorpresa di “Another country” (parliamo di oltre 30 anni fa) non si appoggia a un soggetto originale, volendo raccontare, come se non fosse stai mai raccontata, la vita di Oscar Wilde. Il ricorso costante al barocco come misura eloquente appensatisce il film, al pari del corpo di Everett, qui anche evidenziato dal trucco pesante nella sua rappresentazione wildiana. Ma nello scarto di una rappresentazione febbrile e dinamica, pur con parentesi francamente trash, specie nel segmento italiano, e sorretto da un montaggio spiazzante rispetto a un tempo cronologicamente lineare, Everett dimostra di avere almeno un’idea, che dà un qualche interesse all’operazione. Insomma è un film meno peggio di quanto si potesse immaginare. Voto: 5.
EVA di Benoît Jacquot (Concorso)
– Testimone della morte occasionale di un commediografo di fama, il giovane Betrand si impossessa del manoscritto della sua futura opera e diventa altrettanto famoso. Nel frattempo nella sua vita disordinata irrompe una figura affascinante e misteriosa, dal nome Eva, escort per ricchi clienti. Presuntuoso e pretestuoso film di un regista che vorrebbe essere continuamente spiazzante e invece costruisce solo un’architettura smodata e artificiosa, che diventa presto anche metatestuale. Non solo il film sta lontanissimo dal precedente film di Losey, sempre tratto dal romanzo di James Hadley Chase, ma perde nettamente anche il confronto con l’ultimo Polanski (scritto da Assayas) col quale ha punti di contatto. Isabelle Huppert va di pilota automatico, Gaspard Ulliel è più intontito che tormentato. Voto: 4.
DOVLATOV di Alexey German Jr. (Concorso)
– Pochi giorni a inizio novembre 1971 nella vita dello scrittore Sergei Dovlatov, oggi famoso (a sua insaputa: morirà prima del successo, dopo l’espatrio negli States), ma al tempo fortemente osteggiato dalle autorità dell’Unione Sovietica di Breznev, durante la quale i suoi scritti venivano continuamente rifiutati, anche nella sua attività di giornalista. Un biopic che mescola rabbia e rassegnazione, coraggio e sconforto nella vita degli intellettuali anti regime (tra gli altri Brodsky e Kuznetsov), dove German rinuncia spesso al suo lato più visionario (qui sporadico e infatti il film si accende subito), per concentrarsi con lunghi piani sequenza molto fluidi sui corpi e le parole di un’umanità umiliata nel proprio ingegno. La desaturata fotografia mostra un Paese incolore e triste e una Leningrado (oggi di nuovo San Pietroburgo) nebbiosa e ostile. Forse troppo scritto per appassionare sul serio, ma con elementi e momenti di indubbio fascino e forza. Voto: 7.

TRANSIT di Christian Petzold (Concorso)
– In fuga dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, Georg arriva a Marsiglia, dove, dopo aver acquisito l’identità di uno scrittore, cerca un pass per arrivare in Centro America. Qui viene a contatto con altre persone che vivono la loro clandestinità. Petzold continua a comporre un cinema che va perennemente decrittato, sempre molto pieno e con una carica emozionale instancabile. In questo dedalo di storie, anche la Storia perde i contatti con il tempo, trasformando il film in un percorso circolare ed eterno, dove le figure e i corpi appaiono e scompaiono come fantasmi e l’oggi è come ieri e come sarà domani, perché i clandestini e i migranti saranno sempre costretti a fuggire, a nascondersi, a essere in transito. Fatta la tara di alcuni sbandamenti iniziali, lo spettatore è attratto da un racconto mai banale, dove lo sguardo concreto del regista tedesco di “La scelta di Barbara” e “Il segreto del suo volto” dà alla Storia un significato universale e il melò lega i rapporti umani continuamente minati. Voto: 7.

  Ultimo aggiornamento: 23:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA