MONDO OVALE di

Italia in Pro 12, riforma Gavazzi e modello elitario Fir: un triplice fallimento

Mercoledì 11 Gennaio 2017
Da sette stagioni il rugby italiano di vertice è in Pro 12 con due franchigie. Da quattro stagioni il sistema è stato ridisegnato dalla riforma dettata dal presidente federale Alfredo Gavazzi. L’Italia ha sottoscritto la permanenza nel torneo con due squadre fino alla stagione 2017/18. È imminente la scelta per il rinnovo di un altro biennio (2018/19, 2019/20), già sottoscritto con il borad celtico dalla Zebre Parma (a rischio però di saltare, il bilancio già alimentato da un anticipo della Fir ha bisogno di un altro milione di euro), ancora da sottoscrivere dal Benetton Treviso.
È il momento di tirare le somme dell’esperienza italiana in Pro 12. Eccole, attraverso un bilancio dei risultati e un’analisi complessiva, pubblicate nella pagina di lunedì del “Gazzettino”.
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IL BILANCIO
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Usando una categoria storica i risultati si possono classificare in a.G. e d.G. Avanti Gavazzi e dopo Gavazzi, come avanti e dopo Cristo (a.C, d.C.). La nascita di Gesù è stato lo spartiacque della storia dell’umanità. L’avvento di Alfredo (Gavazzi) lo è nel rugby per la più modesta storia delle squadre di alto livello italiane nel Pro 12. In negativo, purtroppo. L’esatto contrario di quanto predica il ct Conor O’Shea (e altri prima dui lui), che vorrebbe più vittorie per dare impulso alla Nazionale.

Sono i numeri a certificare la svolta negativa dei risultati, non le opinioni. Quei numeri che, scritti su grandi block notes, al presidente federale piace esibire quando spiega la bontà del suo operato. In questo caso gli danno torto. Perciò non li ha mai esibiti. Limitandosi a valutazioni tipo: «Quando sono diventato presidente, Fir e Treviso erano agli antipodi, oggi collaboriamo a stretto contato» (ultima in ordine di tempo rilasciata al sito Polesine Rugby). L’intervento deciso, a gamba tesa si direbbe nel calcio, di Gavazzi sul Pro 12 risale alla stagione 2013/14. Quando ha avocato a sé i rapporti con le franchigie; rinegoziato il contratto con il board celtico; tenuto Treviso sulla corda fino all’ultimo, inducendolo a non rinnovare i contratti ai giocatori; indotto, con parole poco lusinghiere, l’allontanamento del dg del Benetton Vittorio Munari; «inventato l’opzione Dogi» (frase sua) e lusingato Rovigo; portato a 4 milioni i contributi; imposto allenatori italiani; trasformato le Zebre in “private” (si fa per dire).

Prima di tutto ciò, nell’era a.G. (avanti Gavazzi), l’Italia ha ottenuto i migliori risultati in Pro 12, complessivamente 31 vittorie e 2 pareggi. Tre stagioni dove Aironi e le subentrare Zebre sono sempre arrivati ultimi (nel 2012/13 con l’en plein di 22 sconfitte), ma il Benetton del trio Zatta-Munari-Smith ultimo non è mai arrivato. E neanche penultimo. Due volte è giunto decimo (una davanti a Glasgow, futuro campione). Nel 2012/13 addirittura settimo, con il bilancio di 10 vittorie, 10 sconfitte, 2 pareggi; 50 punti in classifica, davanti a Connacht (altro futuro campione), Cardiff, Edimburgo, Dragons; i play-off a tiro per una lunga parte del torneo. Sono passati tre anni, ma sembra un secolo. Perché nell’era d.G. (dopo Gavazzi), cioè nelle tre stagioni successive, le squadre italiane hanno totalizzato solo 24 vittorie e 3 pareggi, classificandosi sempre ultima e penultima. E in quella attuale sono avviate sulla stessa strada.

La riforma del presidente della Fir ha demolito il Treviso competitivo e in crescita. Portandolo al sorpasso delle Zebre. Questo è il reale risultato sportivo, voluto o casuale, ottenuto dall’intervento di Gavazzi. Ora lo stesso presidente si è auto-assegnato carta bianca per trattare il rinnovo biennale (2018/20) della partecipazione italica al Pro 12 e decidere il destino delle franchigie. Prime domande: le Zebre “private” in agonia resteranno a Parma, o finiranno a Calvisano, Brescia, Roma? Il Treviso rinnoverà da solo, insieme ai club veneti come Dogi, o non rinnoverà affatto? Qualunque saranno le scelte, entro gennaio è atteso un consiglio federale sul tema, se le premesse sono quelli dei primi tre anni dell’era d.G. (dopo Gavazzi), per i risultati c’è poco da stare allegri. Tocca rimpiangere l’era Dondi. (Ivan Malfatto)
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L’ANALISI
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Il Pro12 è un pianto, d’accordo. Ma non è solo quello. E’ tutto il sistema professionistico italiano che non funziona. Quando decise di entrare in Celtic League la Fir pensò alle franchigie come a una dependance della Nazionale. Bastava poter decidere i ruoli degli azzurri, le partite e i minuti di impiego, i turni di riposo, le modalità di preparazione e di recupero dagli infortuni. Far fare esperienza in un campionato professionistico ai giovani sfornati dalla Accademie. Magari attingere alla bisogna a blocchi ed automatismi dell’una o dell’altra franchigia. Che poi Benetton, Aironi prima e Zebre dopo, fossero competitive era relativo. La priorità un’altra: mettere i giocatori nelle condizioni migliori per il Sei Nazioni e i test autunnali. Al resto avrebbe provveduto la Nazionale facendo da locomotiva all’intero movimento con le sue vittorie: a riempire gli stadi, ad attirare sponsor e diritti tv da ridistribuire poi alla base. Insomma a far crescere il rugby grazie al fascino dei grandi eventi internazionali.

Come era facile immaginare (e su queste colonne lo abbiamo detto forte fin dalla prima ora) nulla di tutto questo è avvenuto. Nonostante Pro12 e Accademie, i risultati della Nazionale, e dell’Under 21 sono rimasti desolatamente identici a prima: rare vittorie, l’ultimo posto nel Sei Nazioni è diventato quasi una costante. I benefici apportati sono stati molto modesti: un’aspirina, non certo la cura di cui il movimento aveva bisogno. Ma ci sono stati anche effetti collaterali negativi in questi anni celtici. Il campionato dei club, che aspettava da tempo un progetto di sviluppo, è stato invece raso al suolo. Privato dal Pro12 dei giocatori migliori e di risorse finanziarie adeguate, impoverito tecnicamente, ha perso ulteriore competitività e visibilità. I suoi club sono stati messi alla porta dell’Europa che conta, umiliati in una competizione di terza classe per qualificarsi alla Challenge Cup dove riescono in clamorose imprese alla rovescia: perdere con tedeschi, spagnoli e russi. Cose che 30 anni fa avrebbero provocato una sollevazione generale e che oggi sono vissute dagli interessati quasi con rassegnazione.

Si pensava anche che i club di Pro12 sarebbero stati capaci di riempire gli stadi e di avere un forte impatto mediatico al di là delle mura domestiche. Ma premesso che non bastano due club ad accendere la passione in un paese, se non vinci c’è poco da fare. Basti guardare i dati degli abbonati del Benetton: nei primi due anni erano arrivati a 865, ma già al terzo erano calati del 20% e oggi sono quasi dimezzati: 487, il 43,5% in meno rispetto al 2013-14.

Ad uscire sconfitto è il modello elitario su cui ha scommesso la Fir: dalla formazione, alle franchigie, alla nazionale. Con una base stretta la piramide non sta in piedi. Peccato che per arrivare a una conclusione così elementare si sia perso tanto tempo. Così tanto che oggi tornare indietro è quasi impossibile. (Antonio Liviero) Ultimo aggiornamento: 11:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA