Odissea giudiziaria per un recinto

Giovedì 18 Dicembre 2014
Odissea giudiziaria per un recinto
Voleva realizzare una recinzione intorno al terreno della sua abitazione per ragioni di sicurezza; non solo per chiudere la proprietà agli estranei, ma soprattutto per la presenza dei figli minori. Aveva avviato l'iter con le richieste al Comune ancora nel 2003. Mai si sarebbe potuto immaginare che ci sarebbero voluti più di 10 anni per realizzare l'opera e chiudere le vertenze giudiziarie che ne sarebbero scaturite. L'uomo, un 47enne di Cassacco, ha dovuto subire un processo, insieme all'anziana madre, 74 anni, e all'ingegnere direttore dei lavori, un udinese di 63 anni, prima che un giudice lo assolvesse con formula piena da una serie di reati contravvenzionali che gli venivano mossi per non aver chiesto un preventivo nulla osta alla Soprintendenza dei beni archeologici e culturali. Un nulla osta che avrebbe dovuto richiedere sulla base di un vincolo indiretto istituito sul terreno nel 1970 e di cui non era neppure a conoscenza.
Tutto comincia nel 2003, quando l'uomo chiede al Comune di realizzare una recinzione sulla sua proprietà, nelle vicinanze del castello di Cassacco, bene vincolato. Il Comune rigetta l'istanza, non essendo prevista la possibilità di realizzare recinzioni in quell'area, ma ascoltate le argomentazioni del privato, approva una variante al piano regolatore che prevede la possibilità di realizzare le recinzioni con delle prescrizioni. Si arriva al 2007. L'uomo rinnova una richiesta di permesso di costruire, «anche se gli sarebbe bastata una Dia», spiega il suo legale, l'avvocato Luca Zanfagnini, che gli viene accordata. Terminata una prima tranche di lavori, nel 2010 fa pervenire una nuova richiesta per proseguire la recinzione in altri terreni e come nel caso precedente il Comune rilascia la concessione edilizia. Sennonché nel 2012 la Polizia municipale, sulla base di una segnalazione di un vicino, compie una verifica e scopre che sull'area gravava un vincolo indiretto emesso nel 1970 dalla Soprintendenza per garantire la visuale prospettica del Castello. Un vincolo di cui non c'era cenno né nel passaggio di proprietà del terreno né nell'atto di chi glielo aveva ceduto. «Non ne era a conoscenza. E non ne sapeva nulla neppure il Comune tanto che ha rilasciato l'autorizzazione a costruire - spiega il suo legale -. Abbiamo ottenuto successivamente il nulla osta della Sovrintendenza perché il vincolo non impediva le opere realizzate. E su quella base avevamo chiesto l'archiviazione delle accuse». Ottenuta solo per l'ipotesi inizialmente formulata di abuso edilizio. I tre si sono trovati a processo per le contravvenzioni. Martedì la parola fine con la sentenza con cui il giudice Matteo Carlisi li assolvesse perché il fatto non sussiste, su richiesta avanzata dallo stesso pm d'udienza Viviana Del Tedesco. Una giustizia postuma arrivata anche a favore del direttore dei lavori, deceduto poche settimane prima dell'udienza.
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