Pareti di vetro trasparenti e preziose. Intonaco color sabbia e marmi di Carrara

Giovedì 3 Settembre 2015
Pareti di vetro trasparenti e preziose. Intonaco color sabbia e marmi di Carrara tagliati al pavimento che rilasciano infinite rifrazioni di grigio. E, nel cortile, Adamo ed Eva, la scultura di Arturo Martini acquistata per pubblica sottoscrizione dai trevigiani nel 1993 e oggi icona di una città che, dal 29 ottobre prossimo, si sveglierà con un nuovo museo. Il Bailo 2.0, che porta la firma dell'architetto viennese Heinz Tesar e del suo braccio destro Marco Rapposelli è uno spazio metropolitano, di gusto europeo, un bagno di luce che invade le sale, amplificando quella bella calma che si respira in mezzo ai simulacri della creatività dell'uomo. Un lavoro di cinque anni costato 5 milioni di euro, e un recupero che copre il 60% della superficie del vecchio museo. Restano chiusi ancora il secondo chiostro e gli ambienti adiacenti, per i quali sarebbero necessari altri 2 milioni, ma quello che si presenta alla vista della Giunta e della stampa nel primo tour ufficioso di ieri è uno spettacolo emozionante. L'ingresso e il piano terra sono stati completamente rivoluzionati: attraverso un grande portale d'acciaio si accede al box office sulla sinistra; di fronte una sala luminosa accoglie i visitatori. Proseguendo per il nuovo corridoio, con placche bianco e sabbia, aperture e finestre ovunque, sui lati tre sale per le esposizioni temporanee. Vetro, cristallo, plexiglass rendono la struttura quasi nuda. Il primo piano è rimasto identico nell'organizzazione degli spazi: le tele dei Ciardi, i dipinti di Serena raccontano la storia della pittura trevigiana di fine Ottocento. Ma le sale più attese riguardano il Novecento, dove emozionano le opere di Martini e Rossi: esposto per la prima volta, frutto di un comodato d'uso stipulato con privati, «Michelle Carion, marinaio» di Gino Rossi. In fondo alla sala la «Fanciulla piena d'amore» di Arturo Martini è enfatizzata da due fasce color oro. Attraversando un corridoio ottocentesco restaurato, con pavimenti veneziani e cassoni di legno sui soffitti si ridiscende per la parte finale della ricognizione: qui quelli che un tempo erano i depositi di archeologia sono diventati una sala dedicata alle sculture e ai bronzi di Carlo Conte. Infine ad un focus sugli incisori trevigiani: in mostra il torchio di Giovanni Barbisan e le incisioni di Lino Bianchi Barriviera. Siamo in prossimità del chiostro: tornando al punto di partenza ci si imbatte in un piccolo capolavoro. È la Venere dei porti di Martini, acquistata dal Comune nel dopoguerra dopo una mostra portata a Treviso da Bepi Mazzotti.

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