Il protocollo Giochi, disegni e poi le domande della psicologa

Venerdì 3 Luglio 2015
TREVISO (gp) Il protocollo è stato seguito alla lettera. Ogni bambino è stato trattato con tutte le tutele del caso nella speranza di rendere l'incidente probatorio il meno traumatico possibile ma anche più proficuo dal punto di vista investigativo. L'intenzione era quella di mettere a proprio agio i piccoli facendoli sedere in una stanza con giochi e disegni. Dietro uno specchio, opaco, aldilà del quale c'erano i grandi: i bambini non li potevano vedere e sentire.
La stanza doveva essere accogliente anche se comunque uno spazio neutro. Assieme a loro una psicologa infantile, in collegamento con l'altra stanza, quella dietro il vetro, dove il gip, il pm, i legali delle parti in causa e le indagate potevano invece vedere e sentire cosa dicevano i bimbi. La psicologa aveva il compito di entrare in confidenza con il piccolo di turno, di «fare amicizia» per conquistare la sua fiducia. Poi poteva iniziare a porre le domande che dovevano essere aperte per permettere al minore di introdursi spontaneamente nel discorso. Una procedura che aveva l'obiettivo di favorire l'acquisizione di testimonianze genuine, scevre da suggestioni, pressioni, induzioni o condizionamenti. Gli accorgimenti della cosiddetta «audizione protetta» sono invece quelli di preservare il minore da rischi di vittimizzazione secondaria derivanti da interviste ripetute o eccessivamente intrusive, insistite e affaticanti.

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