Il Comune rivuole 22mila euro

Martedì 5 Maggio 2015
Aprire una lettera una mattina e scoprire che il Comune chiede indietro, tutto d'un tratto, 22mila euro. Un dipendente di Palazzo Nodari si è trovato di fronte a un improvviso e inatteso contenzioso con l'amministrazione, alla quale ha inviato una diffida, tramite avvocato, per bloccare la richiesta di restituzione dei soldi e per impedire la sospensione dell'indennità mensile.
Quest'ultima era data al lavoratore perché prima di arrivare a Palazzo Nodari nel 2005, era impiegato in un'università. Il contratto nazionale prevede che in caso di mobilità interna tra enti di questo tipo, l'interessato continui a percepire la cosiddetta “indennità di ateneo”.
Comune e dipendente hanno firmato un contratto di assunzione che prevedeva la corresponsione di tale emolumento, solo che per i primi periodi questo non gli è stato pagato, senza che l'interessato, peraltro, facesse alcuna richiesta per riceverlo. Solo qualche anno dopo, con il trasferimento in municipio di un altro lavoratore proveniente da un ateneo che richiedeva l'indennità, l'amministrazione ha fatto una richiesta all'Aran, l'agenzia nazionale che cura i contratti di lavoro, per sapere se doveva pagarla. L'Aran rispose che andava erogata, così al primo dipendente sono stati dati anche gli arretrati, seppur non richiesti.
Ora, a seguito anche delle ispezioni ministeriali, dall'ufficio Personale è arrivata la lettera al dipendente che annuncia il blocco del compenso e la richiesta dei 22mila euro dati in dieci anni.
«È stata una brutta sorpresa - spiega l'interessato - almeno mi potevano convocare e spiegare che c'era questo problema, e che mi sarebbe arrivata una lettera come atto dovuto. Invece nessun rapporto, solo questa brutta sorpresa su quello che è solo un parere del ministero, non un ordine giudiziario».
In materia vi sarebbero sentenze che dicono che l'indennità è dovuta e che in ogni caso l'ente pubblico non può chiedere soldi indietro se li ha dati per sua colpa e non per richiesta del dipendente. «La pubblica amministrazione non ha potere di autotutela e non può agire in via diretta, unilaterale e coercitiva», dice per esempio il giudice del lavoro di Siena, ma deve rivolgersi all'autorità giudiziaria per accertare «la nullità delle clausole contrattuali».
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