Il papà di Domenico: «Vogliamo la verità, chi sa deve parlare»

Sabato 30 Maggio 2015
Bruno Maurantonio cerca di tener su la voce. È appena sceso dal treno proveniente da Verona, dove ha ripreso il lavoro di funzionario di banca. Prima di rincasare deve passare dall'anziana madre, che è rimasta impressionata per una trasmissione televisiva su Domenico andata in onda nel pomeriggio. Anche la moglie, la professoressa Antonia Comin, ha ripreso ad insegnare al liceo Fermi. Chi è vicino a Antonia e Bruno li vede stanchi. Oltre all'enormità della tragedia hanno anche il grande peso mediatico, perchè la fine di Domenico, volato tre settimane fa dal quinto piano dell'Hotel Da Vinci di Milano, continua ad attirare l'attenzione di tutti. Bruno Maurantonio vuole dire: basta, voglio la verità. E la verità la devono raccontare i compagni di scuola della V E del liceo Nievo, che erano in gita a Milano per l'Expo.
Nessuno si fa vivo con i genitori di Domenico. «Non è da noi che devono venere. Devono andare a raccontare la verità agli inquirenti che stanno indagando sulla fine di mio figlio», dice Bruno Maurantonio. E continua: «Non voglio pensare che tutti siano stati coinvolti nella tragedia, sicuramente le posizioni saranno differenti. Ma chi sa deve parlare. Non voglio più sentire cose non credibili».
I genitori sono in attesa dei risultati delle analisi che stanno compiendo i medici legali a Milano. E gli esperti dell'Istituto di medicina legale dovranno anche tentare di ricostruire la dinamica della tragedia, come chiesto dal pubblico ministero Claudio Gittardi.
Bruno Maurantonio continua a dire che ora vuole la verità: «Mio figlio non si è suicidato e non è caduto a causa di un malore. Quindi, tutto il resto è possibile. Quindi, chi conosce la verità la deve dire. Io non faccio accuse di omertà. Quelle le leggo sui giornali. Ma qualcuno dei suoi compagni sa perchè Domenico si trovava su quella finestra. E poi, come è possibile che nessuno si sia accorto di nulla, che non abbia sentito niente? Un ragazzo di diciannove anni vola dal quinto piano senza fare alcun rumore?», si chiede il papà di Domenico.
E la domanda se la stanno ponendo da tre settimane anche gli investigatori della Squadra mobile di Milano, che stanno indagando sulla tragedia. Anzi, la domanda l'hanno posta subito ai tre compagni di classe, che dividevano la stanza d'albergo con il diciannovenne. Non si sono accorti che Domenico era uscito dalla stanza, non si sono accorti che non c'era quando si sono svegliati. L'hanno detto ai professori soltanto dopo essere scesi per la prima colazione».
«Non possono essere credibili le versioni che sono state rese finora», dice il papà di Domenico. «Ripeto, credo che siamo di fronte a posizioni differenti. Che non tutti fossero con mio figlio quando è accaduta la tragedia. Ma qualcuno sa cos'è accaduto e lo deve dire agli inquirenti che stanno conducendo le indagini. Non a me. Quando sarà tutto chiarito andrò io da quei ragazzi che non hanno avuto a che fare con la morte di mio figlio».
Prima o dopo gli investigatori della Sezione omicidi della Mobile di Milano ritorneranno ancora alla carica con gli interrogatori. Chi indaga continua a non credere alle versioni dei fatti che sono state rese.

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