Renzi impone Mattarella Braccio di ferro con Silvio

Giovedì 29 Gennaio 2015
Renzi impone Mattarella Braccio di ferro con Silvio
Verso sera Matteo Renzi se ne va da Montecitorio canticchiando Vasco Rossi: «Una splendida giornata...». Ha appena incontrato i fuoriusciti del Movimento 5 Stelle che gli hanno fatto intendere di non essere disposti a votare Amato, ma hanno lasciato una porta aperta a Sergio Mattarella. Musica per le orecchie del premier. Non che i voti degli ex grillini siano per lui fondamentali - «Siamo venticinque» gli dicono loro - però servono a Renzi per far intendere che, alla peggio, il suo candidato potrebbe essere eletto anche senza il supporto di Forza Italia e dell'Ncd.
Alla vigilia della prima votazione per il Colle, il presidente del Consiglio sceglie di uscire allo scoperto. Manda avanti il vicesegretario del Pd, Guerini: «Si parte e si arriva con Mattarella». Renzi invece il nome non lo fa in pubblico o nelle assemblee di partito poiché, ufficialmente, la scelta del candidato è una questione ancora di là da venire. Però negli incontri riservati, nelle riunioni col proprio staff, nei vis à vis con Berlusconi, Casini, Bersani e Fassino (tutti ricevuti a Palazzo Chigi) dice esplicitamente che la sua preferenza è per il giudice costituzionale ed ex ministro che ha vissuto tutte le stagioni del passaggio dalla Dc, alla Margherita, all'Ulivo, al Pd.
Di buon mattino, Renzi torna a parlare coi suoi deputati e coi suoi senatori. E butta là qualche frasetta dal sapore provocatorio: «È un valore eleggere il presidente della Repubblica con Forza Italia, ma non accettiamo veti». Per quanto piccolo, è un segnale. Il Pd, alla malaparata, è dunque disposto a fare a meno dei voti dei berluscones se i loro diktat non dovessero ammorbidirsi. E lo riconferma in modo esplicito: «E' anche possibile che si arrivi a un candidato che non sia espressione del patto del Nazareno». Insomma, un invito a Forza Italia a non tirare la corda coi suoi «no».
In realtà, anche Renzi ha un «no» da pronunciare. E quando all'ora di pranzo a Palazzo Chigi arriva Silvio Berlusconi, quello che da protocollo viene poi definito un «incontro franco e cordiale» è un braccio di ferro. Col Cavaliere che scuote il capo davanti al nome di Mattarella, e il premier che fa altrettanto quando Silvio mette sul piatto il nome di Giuliano Amato. Nessuno dei due pronuncia un «no» definitivo, entrambi vogliono evitare una rottura prima dell'inizio dei giochi. Tuttavia cedimenti dell'uno o dell'altro non ce ne sono.
Alla fine i due si lasciano con un accordo minimale: votare scheda bianca alle prime tre votazioni, come già avevano annunciato. Significa innanzitutto prendere tempo. Renzi del resto è convinto che Berlusconi alla fine dovrà capitolare di fronte all'evidenza: se da una parte il Partito Democratico ha comunque i numeri per mettere insieme una maggioranza senza Forza Italia, dall'altra gli azzurri senza un accordo con il Pd si troverebbero tagliati fuori dai giochi. E, dunque, alla fine il Cavaliere non potrà spingere troppo in là il braccio di ferro.
A Palazzo Chigi, oltre a Berlusconi, arrivano ancora Bersani, Fassino e Casini. All'ex segretario del Pd Renzi illustra la sua strategia chiedendo se la minoranza del partito è disposta a seguirlo. La risposta è positiva, Bersani si dice pronto ad assecondarlo anche perché, ai suoi occhi, significa che il premier sembra pronto a privilegiare l'orgoglio del Partito Democratico rispetto alla necessità di salvaguardare il patto del Nazareno. In aggiunta arriva pure la disponibilità di Pippo Civati: «Mattarella mi piace, è libero e autorevole».
Perciò la priorità diventa quella di garantire i voti necessari per arrivare all'elezione del candidato con o senza Forza Italia. E l'incontro serale con gli ex grillini serve proprio a questo: dimostrare che Mattarella può farcela comunque, e ben venga l'eventuale sostegno dei dissidenti Cinquestelle, se può servire allo scopo. «Una splendida giornata...»
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