PARTITI alla svolta

Giovedì 23 Ottobre 2014
Quali sono le identità politiche degli italiani? Si autodefiniscono moderati il 32 per cento. Mentre danno a se stessi un etichetta di progressisti il 28 per cento. Il che non significa però che il centrodestra vale più del centrosinistra. Anzi. Queste categorie da geografia politica - la destra, la sinistra - sono superate nella testa dei cittadini. Così come non esistono più rigidità identitarie. Ovvero, come dimostrano le ultime elezioni europee e il successo del Pd arrivato quasi al 41 per cento in quella consultazione: una parte di quel 32 per cento di moderati ha cominciato a votare per il partito di Renzi.
I nuovi identikit politici degli italiani emergono da un ampio sondaggio condotto dalla Swg. Si tratta di auto-etichettature da parte dei cittadini che si dividono così: 32 per cento nel «ceto moderato», 28 per cento nel «magma progressista», 28 per cento nel «rassemblement disgustato», 6 per cento «frange radicali», 6 per cento «territoriali». I moderati sono i più numerosi. «Ma si tratta - spiega Enzo Risso, direttore scientifico di Swg - di una quota consistente di italiani che è in cerca di rappresentanza politica che al momento non trova. Sono a caccia di un'identità forte, che nel campo partitico moderato ora non c'è, come c'era per esempio nel 1994». E dunque possono mescolarsi, anzi già lo hanno cominciato a fare ma pronti a guardare altrove nel caso trovassero approdi preferibili, agli elettori del Pd.
Ci sono questi, ma c'è anche l'Italia della rabbia che, altro dato Swg molto interessante, dal settembre 2013 all'inizio di ottobre 2014 si è rafforzata. Se prima era al 40 per cento (sommando il 28 per cento dei «disgustati», il 6 dei «territoriali» e il 6 delle «frange radicali»), nell'ultimo anno fa registrare un incremento del 4 per cento dei «territoriali» (identificabili con i leghisti per lo più) e una crescita dell'1 per cento delle «frange radicali» (anti-capitalisti, antagonisti e via così). Mentre i «disgustati», per lo più grilleggianti, anti-politici, anti-sistema, restano stabili. Ma queste sono auto-definizioni politico-culturali degli intervistati e non scelte di voto. Dunque, a proposito di quel quasi 41 per cento del Pd alle europee, una parte di esso è comprensivo di italiani «disgustati» che invece di scegliere Grillo si sono rivolti, momentaneamente, al Pd. Così come hanno fatto alcuni moderati. Il cui spazio - raffigurato da Swg tramite una palla nella tabella denominata «I movimenti rispetto a settembre» - ha avuto una contrazione del 4 per cento nell'ultimo anno.
Nel ceto moderato, il 20 per cento si autodefinisce «puramente moderato»; il 4 per cento «liberista»; il 2 per cento «conservatore», il 5 per cento «berlusconiano doc». Chi darà rappresentanza a questo ampio 32 per cento ancora non si sa ed è proprio lì - nell'area di centrodestra, se ancora vogliamo chiamarla così - il nocciolo della questione. Silvio Berlusconi, negli ultimi giorni e anche ieri che si è detto favorevole a un bipartitismo tra lui e Renzi, sembra convinto di poter recuperare tutto quel 32 a cui aggiungere una parte dei voti che gli ha rubato la Lega (era al 4 alle europee ed è all'8 oggi nei sondaggi) e altri consensi da pescare nelle «frange radicali» e nel «rassemblement disgustato».
Quel che è certo, alla luce di questa analisi Swg, è che le identità politiche che gli italiani si sentono dentro non coincidono con una scelta schematica di tipo elettorale: il moderato può votare a sinistra, il progressista può votare a destra, il disgustato (zona in cui si auto-definiscono grillini il 20 per cento degli intervistati) può votare M5S o Pd o altri o nessuno.
Lo stesso discorso vale per le «frange radicali» in cui ci sono anche sedicenti «rivoluzionari» o «comunisti» o estremisti di qualsiasi colore. Sono in crescita dell'1 per cento nell'ultimo anno, prendono e cedono voti, a seconda del momento, al «magma progressista» (un forcone può votare Renzi!) e all'area dei «disgustati». Osserva Risso: «La rabbia politica è il sentimento dominante in questa fase». Il primo a saperlo è Renzi, il quale ha impostato la sua partita puntando sulla «speranza» contro la vasta area disgustata-territoriale-radicale che egli vede impegnata nella propaganda della «paura». Paura degli immigrati, paura dei ladri di Stato, paura dell'Europa, paura delle riforme che possono essere dolorose e impopolari. Ma il premier proprio su quelle ha fondato la sua scommessa. Oltre che sulla capacità a far votare progressista i moderati e anche i grillini. I quali, come tutti gli altri, si rappresentano culturalmente in un modo ma possono farsi rappresentare politicamente anche da chi per molti aspetti è diverso da loro.
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