L'Emilia rossa diserta i seggi L'affluenza si ferma al 37%

Lunedì 24 Novembre 2014
Nella rossa Emilia Romagna il tracollo dell'affluenza alle urne supera ogni previsione. Una delle Regioni d'Italia tradizionalmente più affezionata al voto si è fermata al 37,67 per cento: ben oltre la metà degli elettori è rimasta a casa, stanca, incazzata, disillusa, disamorata. L'ultima volta che gli elettori emiliani e romagnoli erano stati chiamati alle Regionali, nel 2010, l'affluenza era stata del 68,06%: un calo di oltre 30 punti percentuali. E nelle scorse Europee - le elezioni meno amate dagli elettori italiani - l'affluenza era comunque stata del 52%. L'altra Regione che ieri andava al voto, la Calabria, che di solito è tra quelle meno assidue ai seggi, ha visto andare ai seggi quasi il 44% degli elettori, contro il 58% delle regionali 2010. Segno che in entrambe le Regioni ha agito il trend "nazionale" di continua discesa dell'affluenza, ma che in Emilia Romagna s'è mosso un fattore ulteriore, un disagio che è proprio dell'elettorato di centrosinistra. Lo annota Romano Prodi, dopo aver votato nel seggio deserto: «La cosa che sorprende è che l'Emilia-Romagna ha un dato di affluenza inferiore rispetto alla Calabria, mentre di solito è di 11-12 punti percentuali superiore, quindi c'è una particolare situazione di malessere».
Qualche avvisaglia dovevano averla avuta, ai piani alti, se la renzianissima ministra Boschi, poco prima dello scontato «Vinciamo noi», s'era premurata di metter le mani avanti, avvertendo che le elezioni in Emilia Romagna «non sono un referendum sul governo». E qualcosa doveva subodorare anche Grillo, che fino all'ultimo giorno non aveva neanche voluto metterci la faccia, sulla campagna elettorale in Emilia, e quando lo hanno proprio tirato per i capelli ha fatto una fugace educatissima capatina a Bologna per dire che «se prendiamo quattro cinque consiglieri regionali è una vittoria»: non male per il partito che doveva travolgere la vecchia politica con la forza d'uno tsunami.
Nella notte lo spoglio: all'una erano state scrutinate 577 sezioni su 4.512 in Emilia Romagna, dove il candidato Pd Bonaccini era in testa col 47,2%, seguito dal leghista Fabbri col 32,8%; Gibertoni, 5Stelle, è al 13%. Previsioni rispettate in Calabria, col Pd Oliverio al 63% ma con appena 10 sezioni già scrutinate su 2409.
A sperare, nella notte, è Matteo Salvini, che convinto Forza Italia e Fratelli d'Italia a candidare per la prima volta un leghista, Alan Fabbri, alla presidenza della Regione rossa. E che se facesse tombola, non l'impossibile vittoria sul Pd, ma il sorpasso su Forza Italia, legittimerebbe le proprie aspirazioni a fare il leader del centrodestra.
Nell'attesa dello spoglio delle schede, medita già vendetta la minoranza del Pd, pronta - nel caso di una vittoria risicata del candidato governatore, l'ex bersaniano Stefano Bonaccini salito sul carro di Renzi - a fargli pagare il primo risultato elettorale deludente, addebitandolo agli scontri col sindacato e ai bacinbocca col Cavaliere in cui s'è distinto il premier nei suoi dieci mesi di regno. Tanto più che in Calabria l'affluenza in recupero sembra deporre a favore di una solida vittoria del candidato - Pd, ma non-renziano - Mario Oliverio. «I primi dati sull'affluenza alle urne sono disarmanti - tuona il Pippo Civati dal suo blog - è chiaro che la governabilità come unica stella, senza rappresentanza, è non solo un problema ma un vero e proprio pericolo».
Seguiranno con trepidazione lo spoglio anche Berlusconi e Alfano: i vertici di Forza Italia e del Nuovo Centrodestra militano su opposti fronti sia a Bologna che a Catanzaro, ma sperano la stessa cosa. Alfano spera di non essere cancellato dagli elettori, e Berlusconi pure: perché se Forza Italia fosse scavalcata dalla Lega di Salvini, la débacle moltiplicherebbe le adesioni alla minoranza di Fitto, e in Forza Italia nulla sarebbe più come prima.
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