ISTITUZIONI & politica

Sabato 20 Dicembre 2014
«Conta eleggere un presidente e non con quale maggioranza e a quale scrutinio». Fedele al motto «ogni giorno ha la sua pena», l'argomento della successione di Giorgio Napolitano al momento non sembra proprio essere tra le urgenze di Matteo Renzi. Ogni qualvolta viene interpellato sull'argomento, il presidente del Consiglio risponde dando netta l'impressione di non aver nemmeno abbozzato né un profilo né una strategia e di essere più interessato alla tenuta parlamentare sull'Italicum e a quella del Paese sul fronte dell'economia dove i segnali continuano ad essere poco incoraggianti. Basta leggere le risposte date dal premier a Radio105: «Considererei un fallimento se non si eleggesse il Presidente della Repubblica: che arrivi al primo giro, al quarto, al settimo non è questo il punto, non è se arriva con la maggioranza qualificata o con la maggioranza semplice, non è che la maggioranza qualificata valga più dell'altra. È come un sindaco: può essere eletto al primo turno o al ballottaggio, ma è sempre sindaco». Forte della mancanza di alternative al suo governo, certificata di recente dal Capo dello Stato e da Grillo «tornato a fare il comico», Renzi sembra prendersela comoda mentre tutto intorno si muove solo in vista di un appuntamento prevedibile non prima di fine gennaio. «Quando arriverà quel momento - aggiunge Renzi - credo che tutte le forze politiche, da Forza Italia, a Cinquestelle, a Sel, a Fratelli d'Italia, alla Lega, ai centristi e naturalmente al Pd, che ha tanti delegati per l'elezione del Presidente, dovranno fare una riflessione, vera, su cosa sia utile all'Italia per i prossimi sette anni e farlo senza mettere in campo le polemiche, le divisioni, i litigi che ci sono stati nel passato».
L'auspicio riprende la formula pronunciata ieri l'altro a Bruxelles che contiene la preoccupazione per le possibili ricadute d'immagine qualora il Parlamento dovesse trasformarsi in un Vietnam, unito alla speranza di poter eleggere un presidente che sia da tutti considerato elemento di garanzia. Ed è forse anche per questo che Renzi mette le mani avanti sostenendo che «sarà difficile che tutti accettino di andare su un nome». Anche se si augura che il Presidente della Repubblica sia eletto, quando dovrà essere, «con il più alto consenso possibile». Malgrado abbia recuperato parte della sinistra Dem, Renzi sembra essere consapevole di dover andare su una figura che metta d'accordo, se non tutta, la massima parte dei delegati del Pd. Sulla percentuale di appartenenza a questo o quel partito o su una figura che sia dotata di curriculum istituzionale, si gioca la mediazione interna al Pd e quella con il resto della maggioranza nella quale Maurizio Lupi, Ncd, mette in guardia dalla tecnica delle ”rose”.
Un gioco ad incastro che inizierà subito dopo l'approvazione dell'Italicum 2.0 a palazzo Madama. Il tassello continua ad essere considerato «decisivo» da Renzi che sinora ha rispedito al mittente tutti i tentativi di inversione dell'ordine del giorno grazie anche alla tenacia del presidente della Repubblica con il quale il premier ha consolidato una rapporto strettissimo. «Tutti gli italiani dovrebbero avere rispetto istituzionale, politico e personale per Napolitano - ha sostenuto ieri il premier a Radio 105 - può darsi, forse sì, che si dimetta. Ma fino a che non si dimetterà...». Malgrado Renzi proceda con cautela, il toto candidati impazza accessoriato da sondaggi, ultimo quello di Ixè, che accredita la preferenza degli italiani per Napolitano, seguito dall'ex ministro Bonino e, staccata di cinque punti, la coppia Prodi-Draghi.
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